Ci sono voluti più di 40 anni per mettere la parola “fine” a questo progetto partorito nel 1978 dalla mente di
Giuseppe “Julius” Chiriatti. All’epoca il tastierista leccese - che se ho capito bene oggi è un avvocato - faceva parte di una formazione di nome Forum che “rinunciò” al concept perché stilisticamente poco vicino al suono jazz-rock che il combo voleva perseguire.
Entrando nel merito di
“Cut The Tongue” - che stringiamo oggi tra le mani grazie all’impegno congiunto della figlia di
Chiriatti, qui anche cantante, e di un manipolo di musicisti/artisti che potete leggere nei
credits dell’album - i 60 minuti di quest’opera incentrata sulle vicende del protagonista Boy (un ragazzo in cerca di sé stesso che mi ha ricordato un po’ Tommy degli Who e un po’ Rael dei Genesis) non potranno non fare la felicità di tutti gli appassionati di certo progressive rock classico e un filo nostalgico.
Le coordinate stilistiche mi sembrano soprattutto quelle del prog sinfonico nostrano più recente (Mangala Vallis e Moongarden
in primis), con qualche strizzata d’occhio alle esperienze internazionali (difficile non scorgere Neal Morse o i Transatlantic in un tema ricorrente come quello dell’introduttiva
“The Fog”) e un gusto per l’arrangiamento che rievoca i mostri sacri del genere, dagli Harmonium (
“We Know We Are Two”) ai Pink Floyd (
“Clouds Pt. 2”, “Island”), passando per i Genesis (
“In The Room”) e i Caravan (non è un caso che nella titletrack ci sia anche un certo
Richard Sinclair a cantare). E mi fermo qui.
Tutto già sentito? Non me ne voglia
Julius, ma probabilmente la risposta è sì, ed è questo l’unico limite che trovo in un lavoro comunque formalmente ineccepibile che suona bene dalla prima all’ultima nota.
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