Album d'esordio per i belgi
Pothamus, trio che si può definire drone-psichedelico. Infatti nei sei lunghi brani di questo "
Raya" incontriamo sia la leggerezza nuvolosa di certa neo-psichdelia post-rock, che l'ossessività narcotica e mesmerica del drone-doom di recente generazione.
Gli undici minuti dell'iniziale "
Orath" comprendono già tutte le caratteristiche che formano il sound di questa formazione: partenza lenta e liturgica con richiami alla meditazione orientale, crescendo ritmico guidato dal drumming tribalistico di
Mattias Van Hulle, atmosfera severa e solenne che profuma di ritualismo messianico, propaggini psych fornite da riverberi e delay della chitarra, rari interventi vocali sinistri ed in sottofondo. Sonorità precise e nitide, ma sensazione dell'incombenza di qualcosa di oscuro, minaccioso, letale, che diventa sempre più opprimente con lo svolgersi della trama. Traccia immersiva che non ammette distrazioni se si vuole cogliere il senso di viaggio nella tenebra macrocosmica e microcosmica, dove si resta incollati ad una realtà alternativa in attesa del deliquio finale.
Buono, ben fatto, efficace. Anche se segue direttive ormai assai consolidate da tempo (Isis, Neurosis, Yob, Amenra e quant'altro).
Il problema è che il giovane terzetto sfutta il medesimo schema per l'intero lavoro, che finisce per diventare una sorta di estesa trip-soundtrack onirica e meditativa. Altro nome che mi è venuto in mente ascoltandoli è quello degli Om. Stessa attitudine mantrica, ma anche stessa propensione alla diluizione debordante.
I sedici minuti di "
Raya" possono benissimo essere un proseguimento del brano citato prima, pur con i loro contrasti agrodolci e le impennate heavy-sludgy dal retrogusto cosmico. Un sound che si propaga come una nuvola di gas tossico, impalpabile e lento ma inarrestabile e letale. Però anche un poco ripetitivo, senza giungere al tedio ma certamente non fruibile a tutti. Lo stesso si può dire riguardo a "
Viso", che veicola vibrazioni più raggelanti e drammatiche ma in sostanza mantiene il medesimo passo e sviluppo. Ritmiche mastodontiche, passaggi rarefatti ed effetti lisergici.
Buon disco di genere, sicuramente. Manca ancora qualche soluzione che alleggerisca il carico sludge-emozionale, anche se tracce come "
Heravis I" e "
Varos" con i loro contorni sfumati e liquidi offrono indicazioni positive per il futuro. I
Pothamus hanno tempo e capacità per fare ancora meglio.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?