Tendo a cercare “l’effetto sorpresa” in ogni disco che mi accingo ad ascoltare, ma riconosco di peccare di incoerenza nel momento in cui vado ad affrontare una band come i
Transatlantic. Non per giustificarmi, ma perché dovrei aspettarmi stravolgimenti stilistici da una formazione che in 21 (!) anni di carriera ha registrato solo 5 album di vecchio (in molti sensi) e sano progressive rock ai suoi massimi livelli?
Fatta questa doverosa premessa, non posso non accogliere a braccia aperte il nuovo
“The Absolute Universe: The Breath Of Life”, fratello minore (perché non si può chiamare “versione ridotta”) del doppio
“The Absolute Universe: Forevermore”, in mano al buon Pippo.
Archiviata la palpabile stanchezza creativa del comunque ascoltabile
“Kaleidoscope”, i nostri hanno optato per una formula affine al più riuscito
“The Whirlwind”, con una lunga traccia divisa in episodi ispirati tanto alle rispettive carriere soliste dei membri coinvolti (
Neal Morse e
Roine Stolt in primis) quanto ai precedenti lavori a marchio
Transatlantic.
Spiccano i brani più corali, come l’intensa
“Overture” o la successiva
“Reaching For The Sky”, ma anche i momenti più propriamente “solistici” (penso, tra gli altri, a
“Higher Than The Morning” o alla conclusiva
“Love Made A Way”, che trasudano
Neal Morse da tutti i pori) sono da manuale per gusto e arrangiamenti.
Immancabili (avevate dubbi?) anche gli omaggi ai grandi del passato, come nel caso di
“Owl Howl” (spigolosa alla maniera dei
King Crimson di John Wetton),
“Belong” (che profuma di Yes) o
“The Greatest Story Never Ends” (che strizza l’occhio ai
Kansas degli esordi). La sbavatura si intitola
“Solitude” (una ballad piuttosto insipida come lo era
“Shine” nel sopraccitato
“Kaleidoscope”), ma è un peccato perdonabile alla luce del risultato finale.
Bentornati
Transatlantic!
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