Maledette anteprime, maledetta promozione infinita a spizzichi e bocconi, maledette tracce buttate a cazzo nel mare dell’internette... Quattro mesi di ascolti fugaci, di copertine, di EP… e poi rischi di farti un’idea sbagliata. Puoi seriamente sfanculare un disco senza GODERTELO. Ma siamo nell’era moderna, "ti devi adeguare", dicono. Se non mi fossi voluto occupare della recensione del nuovo lavoro dei
Witherfall li avrei probabilmente accantonati, relegati ad ascolto non prioritario delle serie “quando poi mi andrà, lo ascolterò”. E avrei sbagliato perché
The Curse of Autumn è un gran bel disco, diverso dai precedenti, ma molto valido.
L’idea sbagliata che mi ero fatto ascoltando i brani rilasciati era quella di una band che aveva perso la bussola, che aveva cambiato sound, e le composizioni malinconiche, oniriche e tecnicamente ricercate per cui li avevo tanto amati fossero scomparse. In parte è vero, ma c’è dell’altro.
I
Witherfall avevano cominciato la loro avventura come un gruppo di amici, coeso e pieno di idee, che ci aveva regalato uno dei dischi più belli e personali del 2017. Il magnifico album successivo,
A Prelude To Sorrow, arrivava sulla scia di un lutto, quello del loro amico e drummer
Adam Sagan, un lavoro meno immediato del precedente, più arrabbiato, con elementi più estremi (percepibili principalmente nel drumming e nel riffing), più oscuro, con maggiori aperture acustiche spesso nere, nerissime, disperate.
Ecco che, se volessi ricercare quegli stessi elementi all’interno del nuovo lavoro, rimarrei in parte deluso.
Consci che non potevano proseguire nel solco del disco precedente e stuzzicati dall’idea di comporre con un nuovo approccio, i
Witherfall hanno scritto canzoni più immediate, qualcuno potrebbe dire semplici, ma che riescono comunque ad inglobare tutte le loro caratteristiche.
L’impatto con questo nuovo lavoro (dopo una breve intro) arriva con
"The Last Scar" ed il sound è molto diretto e spoglio, il brano risulta veloce nella prima parte per poi diventare groovoso. Un bello schiaffo per cominciare. A conferma di questa “semplificazione” nel sound arriva
"As I Lie Awake" che ha un ritornello abbastanza gioioso per i loro standard ed in forte contrapposizione con il resto della canzone, dove abbiamo un bel contrasto tra chitarre spesse e melodia. Ma funziona tutto: nemmeno finisce e ti ricordi perfettamente il refrain, alzi le mani ed ammetti che hanno ragione loro. L’impronta dei
Nevermore, che aleggia su tutto il disco, si fa poi più pronunciata sulla bella
"Another Face", gran pezzo melodico e toccante guidato dalle molteplici sfaccettature del cantato di
Joseph dove, per qualche istante, appaiono echi di
Warrell Dane e
LaBrie. Dicevo prima di una maggiore linearità dei brani, bene, ora
"Tempest" si fa invece più elaborata, con una bella alternanza tra parti più delicate e semi-acustiche ad altre più groovose, con stacchi musicali ricercati a base di basso fretless e batteria raffinata. D’altronde, quando hai un mostro come
Minnemann dietro le pelli conviene usarlo, no? Affrontiamo poi il breve intermezzo della
title track, i tre minuti della cazzuta strumentale
"The Unyielding Grip of Each Passing Day" e la muscolosa e diretta
"The Other Side of Fear" in cui
Iced Earth e
Nevermore tornano prepotenti, per scivolare poi attraverso la godibile e semplice ballad
"The River" (non imprescindibile) per arrivare al piatto forte conclusivo:
"...and They All Blew Away". Qui i
Witherfall ci danno dentro riuscendo a scrivere un brano da oltre 15 minuti molto elaborato, che necessita di diversi ascolti per trovarne il filo conduttore ed in cui vengono mescolate forti influenze nevermoriane (che brutto neologismo) ad echi di
Meshuggah e
Dream Theater e che verso il minuto 13 si avvia ad una grandiosa conclusione. Sorvolo sulla finale
"Long Time" (acoustic version), cover dei Boston, che interpreto come una sorta di bonus e che non mi è piaciuta molto.
Nonostante i musicisti coinvolti siano di alta caratura, riescono a trattenersi e regalarci un lavoro fluido e diretto, soprattutto nella prima parte, riservando momenti più elaborati solo a certe porzioni o su determinati brani e non lasciandosi mai andare a deliri onanistici.
Qualcuno storcerà forse il naso non trovando la freschezza e qualche elemento power del primo album, oppure la malinconia onirica del secondo lavoro, ma vi garantisco che questo nuova via dei
Witherfall ha sempre un alone dark ben marcato (anche se meno che in passato) e nonostante il sound sia abbastanza vicino a quello di certi Nevermore la personalità della band è ancora forte e si eleva prepotentemente sulla concorrenza. Perché, diciamocelo chiaramente, questi ragazzi sono due spanne sopra quasi tutti i loro colleghi attuali ed il fatto che si possa (giustamente) avere qualche dubbio iniziale a fronte della maggiore immediatezza di un album come
The Curse of Autumn lo si deve solo ai suoi due predecessori. Se ascoltassi questo disco senza sapere nulla dei
Witherfall farei salti di gioia e lo lancerei tra i top dell’anno.
Abbiate quindi un attimo di pazienza in più, verrete ricompensati.