Quant’è difficile svincolarsi da un passato troppo prestigioso e impegnativo per essere accantonato con facilità?
Quante volte abbiamo visto un artista rinnegare le sue glorie trascorse in virtù di una legittima necessità evolutiva, spesso però capace solo di dare origine a ibridi sconcertanti?
Ed ecco che non è facile accogliere a cuor leggero le operazioni di “retromarcia” (per ripensamento, convenienza o opportunismo ...), piuttosto diffuse e al cospetto dalle quali il
fan si trova fatalmente “spiazzato”, diviso tra ragione e sentimento.
Il modo migliore di approcciarsi a queste circostanze, evitando puerili atteggiamenti da “verginelle”, è probabilmente quello di tralasciare (magari con fatica ...) la questione
etica e giudicare il frutto di tali “pentimenti” con il metro dell’emozione, forse l’unico parametro valutativo davvero determinante.
Tutto questo preambolo per introdurre il secondo lavoro degli
Sweet Oblivion, formazione “variabile” con cui
Geoff Tate, uno dei cantanti più valorosi e carismatici della sua generazione, è ritornato a frequentare, dopo varie controverse diversioni, le sonorità che l’hanno reso celebre con i Queensryche, una delle grandi meraviglie della
Storia della Musica.
Al timone compositivo e produttivo (senza dimenticare l’importante apporto esecutivo) di questo “
Relentless” troviamo oggi
Aldo Lonobile (Secret Sphere, Timo Tolkki's Avalon, Archon Angel, Death SS) ed è veramente interessante scoprire come, al pari del suo illustre predecessore
Simone Mularoni (
mastermind dell’esordio eponimo), il nostro si sia perfettamente calato “nella parte”, fornendo alla voce di
Tate, fatalmente ridimensionata dall'inclemenza del tempo, un
songwriting di assoluto rilievo, in cui l’autocompiacimento retrospettivo, ben evidente, non supera mai i livelli di guardia.
Il resto lo fa, oltre all’ugola del
vocalist tedesco-statunitense, un
team di musicisti preparati e perfettamente funzionali all’obiettivo finale, e cioè quello di irrorare di
feeling e tensione espressiva uno sguardo verso il passato.
Risultato pienamente centrato, per quanto mi riguarda, e qui devo però anche ammettere che il “brivido” che sanno ancora procurarmi le interpretazioni di
Geoff (cosa che non mi succede di fronte a molte sue pur efficaci controfigure … ogni riferimento a
Todd La Torre è puramente … voluto!) ha un peso piuttosto significativo nell’economia globale dell’ascolto.
Addentrandoci nel programma, se amate questi suoni, fin dal primo contatto con le atmosfere crepuscolari e cinematografiche di “
Once again one sin”, non potrete che subire il prepotente ritorno di sensazioni sopite, rese ancora più intense dalla costruzione armonica di “
Strong pressure” e “
Let it be”, due autentici gioiellini di felice traslitterazione Queensryche-
iana.
“
Another change” s’illumina di riflessi squisitamente
prog ed è uno dei momenti maggiormente “evoluti” del lotto, seguita dal lirismo malinconico di “
Wake up call”, dalla pulsante “
Remember me” e dalla poderosa "
Anybody out there”, nuovamente in grado di alimentare antichi e mai rimossi turbamenti emotivi.
L’atmosfera languida di “
I'll be the one” e l’incedere solenne e impetuoso di “
Fly angel fly” contribuiscono, pur senza apportare particolari “sconvolgimenti”, alla riuscita di un disco che regala a noi italiani la “stravaganza” di un brano cantato da
Tate in italiano (in realtà era già successo con
"Odissea" ai tempi di “
Take cover” e la dimestichezza del nostro con la lingua di
Dante non è migliorata un granché ... ), intitolato “
Aria” e che non va oltre una piacevole struttura sonora.
“
Relentless” è dunque un buon modo per abbandonarsi a una forma particolare di “
Oblio”, in cui il ricordo, frammentato ma vivido, assume il sapore “
Dolce” di un presente ancora emozionante.