Nuovo album, il quarto della loro produzione, per il trio svedese
Vokonis. Rispetto al precedente "Grasping time", da me recensito nel 2019, la massiccia e cupa aggressività del loro serrato post-metal sembra essersi aperta ad un sound maggiormente elaborato, trasversale, con strutture dinamiche che ricordano la scrittura progressiva. Rimane ferma la componente heavy e l'atmosfera doomy, ma cresce in maniera esponenziale la flessibilità ritmica ed i passaggi meditativi alla Intronaut/Elder. Inoltre è migliorato l'utilizzo della doppia voce, quella pulita e melodica di
Jonte Johansson e quella aspra e mordente di
Simon Ohlsson, così come la ricerca di soluzioni alternative, vedi la presenza delle tastiere vintage dell'ormai leggendario
Per Wiberg (Opeth, Spiritual Beggars, Kamchatka).
I dodici minuti della suite conclusiva "
Through the depths" contengono tutte le componenti descritte prima, in forma sicuramente matura e convincente. Brano di spessore, che unisce aspetti dark-melodici, spigolosità metal ed una coda strumentale che pare invece ispirata alle grandi bands degli anni 70. Un incedere emozionante e variegato, tra bordate heavy e liquidità da jam-rock. Spettacolare il solismo di
Ohlsson che attraversa e dirige tutta la seconda metà del brano, con intensità quasi "cosmica". Un titano neo-prog da parte di una formazione che pareva ancorata agli schemi più truci del post-metal. Applausi.
Come contrasto, troviamo episodi più grezzi e bombastici ("
Rebellion", "
Blackened wings") dove l'impatto è sul genere Mastodon/High on Fire, con tiro diretto ed epidermico. Roba truce e cattiva, ma con qualche passaggio catchy che evita il soffocamento. Nuovamente la title-track ci sorprende col suo arrangiamento Wiberg-iano alla Deep Purple ed i rallentamenti prog-doom eleganti e sofisticati. Qualcosa a metà strada tra Spirit Adrift e Spiritual Beggars, con una spolverata di epicità nordica. Il progresso e l'evoluzione rispetto al passato sono evidenti. Canzone dove cattiveria heavy, potenza strumentale ed atmosfera drammatica si sposano perfettamente.
Che in questi due anni la band abbia lavorato duramente sul proprio sound, lo dimostra ulteriormente il modo in cui viene elevata una rude botta come "
Azure" grazie a linee vocali dal timbro quasi ipnotico. Così come l'ambiziosa "
Hollow waters", piena di richiami nostalgici in un tessuto metal tagliente alla The Sword. Un solismo cristallino e fluente, completa il quadro di un altro pezzo assolutamente vincente.
Complessità e freschezza, dinamicità e potenza, i
Vokonis compiono un notevole salto di qualità. Il disco aggredisce ed avvolge, con momenti che incantano ed altri che sferzano come frustate. Non ancora il botto definitivo, ma siamo molto vicini.
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