Qualche mese fa avevo recensito l'Ep "Omega severer" degli scozzesi
Dvne, adesso esce il secondo full-length della band (che contiene anche la title-track dell'Ep) per l'importante
Metal Blade. E la storica etichetta difficilmente sbaglia, quando si tratta di accaparrarsi le nuove formazioni più interessanti in circolazione.
Questo "
Etemen ænka" è un lavoro di grande complessità e maturità, che si pone trasversalmente al post-alternative metal inglobando strutture heavy-prog, ombrosità doom, grevità sludge, atmosfere tese e drammatiche, riferimenti culturali e mitologici di una certa ricercatezza. Il punto di riferimento dei ragazzi di Edimburgo sono chiaramente i Mastodon di "Leviathan" e "Crack the skye", perchè le analogie con la band americana si rivelano palesi: riff articolati e sferzanti, suoni gelidi, alternanza di potenza metal e respiro melodico, progressioni strumentali elaborate, doppia voce a sottolineare i differenti passaggi del sound (una pulita e morbida, l'altra aspra e gutturale), una sottile sensazione di disperazione e sconforto che attraversa l'intero disco, alcuni momenti romantici ed altri selvaggi e così via. Altri nomi che si possono citare allo scopo di inquadrare il sound della formazione britannica sono quelli dei Baroness, dei Black Tusk, dei Kvelertak.
Qualcosa di derivativo c'è, in sostanza. Ma il tonnellaggio sonoro prodotto dai
Dvne è talmente imponente, da rendere molto meno influente il paragone con le loro fonti di ispirazione.
Oltre un'ora di assalto metallico cerebrale, creativo, caleidoscopico, annichilente, sorprendente, furioso, difficile da assimilare pienamente ai primi ascolti ma dannatamente gratificante se si concede maggior tempo a questo torrenziale album.
Per amor di sintesi sottolineo il tambureggiante incedere della poderosa e violenta "
Enŭma eliś", ispirata alla mitologia sumero-babilonese, con il suo impatto spezzacollo e le sospensioni avvolgenti (molto Baroness), così come la ferocia apocalittica di "
Towers" che si abbatte sull'ascoltatore come una frana rocciosa ma con una fluidità del riffing davvero stupefacente. Post-metal progressivo all'ennesima potenza.
Altri brani top-level sono la prog-metallica "
Court of the matriarch", un saliscendi ritmico che toglie il respiro con soluzioni oltremodo raffinate , la già citata e monumentale "
Omega severer" ricca di passaggi malinconici ed affascinanti e spaccati di pura brutalità heavy, l'atmosferica "
Mleccha" (vocabolo sanscrito che significa "non vedico","barbaro") la quale rappresenta l'episodio più post-metal (alla Inter Arma) sviluppato in maniera fluida e feroce, ed infine l'estesa "
Satuya" che parte in maniera soffice ed eterea per lasciare poi spazio ad un riffing serrato e ad un crescendo di grande epicità oscura. Una digressione strumentale alla Pelican, che si evolve in un terremotante e squassante heavy totemico. Impressionante.
Certamente queste descrizioni didascaliche non rendono l'idea precisa della grandiosa impalcatura sonica generata dalla formazione britannica, ma questo è uno di quei dischi veramente difficili da narrare in maniera esaustiva. Le molteplici colorazioni, il granitico lavoro delle chitarre, gli improvvisi cambi di passo e gradiente di pesantezza, il parco utilizzo delle tastiere e della voce femminile a sottolineare i momenti più lirici, gli inserti progressivi a contrastare le pressanti cadenze metal-sludgy, rappresentano percorsi da affrontare in prima persona dedicando loro il tempo necessario.
Quantità e qualità. Muscolarità e creatività. Cavalcate e crescendo da paura. Variazioni e sfumature continue. I
Dvne fanno un netto salto in avanti rispetto agli esordi e si candidano per un posto di rilievo nel settore di competenza. Un lavoro complesso, articolato, impegnativo ma anche dannatamente brillante. Uno dei migliori ascoltati negli ultimi mesi.
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