Un altro mammut si profila all'orizzonte, questa volta di pietra. Gli
Stone Mammoth, appunto.
La band proviene dalle lande ghiacciate finlandesi (Seinäjoki) e questo primo full-length risale al 2014, quando fu registrato in soli due giorni. Poi è rimasto inedito fino ad ora, quando viene pubblicato solo in formato digitale attraverso la
Inverse Records. Con la marea di roba (spesso assai mediocre) che esce oggigiorno, resta un mistero il fatto che il presente disco non abbia visto la luce per ben sette anni. Perchè si tratta di un ottimo lavoro.
Ascoltanto la prima canzone ("
Mammoth rising") mi sono subito venuti in mente i lontani Terrafirma, sia per quel saporito mix di doom Sabbathiano, hard seventies e retrogusto drammaturgico alla Danzig, sia perchè l'impostazione vocale ieratica di
Jesse Etelämäki ricorda parecchio quella di Christian "Lord Chritus" Linderson (vedi anche Count Raven, Goatess, Python, ecc.).
A dispetto del nome, i finnici scelgono un approccio tutt'altro che elefantiaco e monolitico. Brani di media lunghezza (il più esteso è di sei minuti) ma soprattutto molto vari nelle soluzioni e nello sviluppo. Nessuna particolare raffinatezza cerebrale, ma nemmeno una schematicità scolastica. Canzoni che scorrono molto bene, veicolano momenti coinvolgenti, trasmettono energia unita ad una piacevole coloritura ombrosa e doomy che evoca nomi come Goatsnake o Summoner, ma in versione più diretta ed anni '70.
Ad esempio spicca il tiro assolutamente rock-stradaiolo di "
Lock'n'load" (...lock'n'load for rock'n'roll...come dice il ritornello anthemico), sul genere dei Mustash, in contrasto con la lentezza rarefatta e decadente di una "
Greatest lover" che poi si scioglie in una cavalcata metal dal timbro tipicamente nwobhm.
C'è anche una componente lisergica nel sound di questa formazione, la ritroviamo nei toni soffusi e space di "
Planet mammoth" e nell'atmosfera notturna e sinuosa della bluesy "
Blind eye looking", uno slow di pregiata fattura. L'hard doom, quello tosto e concreto, emerge invece nelle chitarre graffianti e nel groove di "
Runaway", pezzo segnatamente Black Sabbath con lunghi solismi di
Timo Vuorela e
Jani Paananen, così come nella tetra e metallica "
Black & green" dove i toni stentorei del vocalist riaccendono il paragone con i Terrafirma ma con qualche inserto maggiormente sludge.
Prova davvero convincente quella degli
Stone Mammoth, quello che stupisce è che abbiano dovuto attendere così tanto per pubblicare questo disco (oltretutto solo in digitale). Spero che la situazione cambi e che i ragazzi scandinavi non debbano nuovamente attendere una vita per realizzare un nuovo lavoro. Sicuramente meritano attenzione.
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