Tempo di split-Ep per la
Go Down, che recluta per il presente "
Major-League heavy rock" due bands tedesche emergenti in ambito stoner: Hellamor e
Red Stone Chapel.
In realtà gli Hellamor sono vecchie conoscenze per chi segue il filone da molto tempo, infatti nascono nel 2006 dalle ceneri dei Calamus, pionieri del genere con gli album "Highdrive" e "These days" che comprai all'epoca della loro uscita, tra la fine dei '90 e l'inizio del nuovo millennio, e che consiglio agli appassionati di recuperare. In questa nuova incarnazione ritroviamo il vocalist Ralf, il chitarrista Nino ed il drummer Adrian, con l'aggiunta del bassista Klaus (ex-Rawboned). Finora hanno realizzato alcuni ep e l'album autoprodotto "Relief" nel 2011.
Dei
Red Stone Chapel avevo già parlato grazie alla recensione del loro primo full-lenght "Omega boombox", uscito nel 2019 per Argonauta. Sono della zona dell'Assia, ma sembrano usciti dalle paludi della Louisiana sia per aspetto che per attitudine. Stoner spesso e decisamente southern, con taglio muscolare ed atmosfera alcolica e barbuta.
Quattro brani a testa, versione vinilica o digitale.
Gli Hellamor si collocano sulle coordinate dei predecessori Calamus: un dirty-rock stonerizzato, immediato e di buona energia. Roba solida, come una "Fallen saint" che ha un forte retrogusto alla Black Label Society o semplicemente degli hard sporchi come "Hourglass", tesi e diretti senza particolari fronzoli. Molto dirty-rock anche "I can hear it" dove le chitarre taglienti ricordano il metal anni '90, mentre "Never taught me" punta su vibrazioni più stoner-doom ma sempre con un pronunciato taglio metallico. Un heavy-Sabbath con voce pastosa e chitarrismo affilato, episodio certamente più oscuro dei precedenti.
I
Red Stone Chapel partono subito col riffone irsuto e le vocals da crooner alcolico di "
The paper king" (già presente su "Omega boombox"). Stoner-blues che piacerebbe assai ai Clutch, anche perchè le somiglianze di intonazione tra Dimi Tzouvaras e Neil Fallon sono davvero evidenti. Ancora più bluesy la seguente "
Progress in work", con l'armonica in bella evidenza e l'atmosfera southern-roots che trasuda da ogni nota. Calore torrido e visceralità rock.
Gli altri due brani sono in versione live: "
Genius junction" è una gran botta stoner spezzacollo (nuovamente molto Clutch) con cantato sferzante e tiro viscerale, mentre "
Thieves in the attic" (anch'essa dal full-lenght) evidenzia aspetti più metallici con vocals vagamente rappate. Parte finale rabbiosa e convulsa, molto "macho" e fumosa.
Due formazioni dall'impostazione diversa, ma entrambe di buon livello. Al momento sembrano un pò più maturi i
Red Stone Chapel, che però devono sforzarsi di mitigare l'influenza dei Clutch, mentre gli Hellamor dovranno ulteriormente focalizzare la passata esperienza dei Calamus.
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