Credetemi, avrei voluto essere più magnanimo con il terzo albo dei
FarCry, un po’ perché sono americani e un po’ perché apprezzo l’abnegazione in ogni settore dell’esistenza umana.
Autrice di "
High gear" nel 2009 e di "
Optimism" nel 2011, la
band, attrezzata per risollevare le sorti della scena statunitense, oggi claudicante nei confronti dell’egemonia melodica nordeuropea, subisce un’importante battuta d’arresto nel 2013, che la porta allo scioglimento.
Solo grazie all’impegno e alla determinazione del
leader Pete Fry, dopo un paio d’anni i
FarCry ritornano
alive n’ kickin’ con una formazione completamente rinnovata, fino al contratto con la
AOR Heaven e alla pubblicazione di questo “
Balance”.
Musicalmente dediti a un
melodic hard-rock sulla scia di Firehouse, Danger Danger e Trixter, i nostri sfornano un dischetto,
ahimè, tutt’altro che esaltante, abbastanza ben suonato, ma davvero troppo
routinario e prevedibile, in cui le strutture armoniche, pur piacevoli, non arrivano praticamente mai a soggiogare i sensi o rimanere impresse nella memoria.
Per essere ancora più chiari, diciamo che in “
Balance” tutto appare “garbato”e ascoltabile, a partire dalla voce di
Bob Malone, e tuttavia faccio davvero fatica a segnalare qualche brano che emerga da una superficiale gradevolezza di certo non idonea ad ambire a posizioni di vertice.
In questa “rettilineità” sonora forse solo la pulsante t
itle-track, i
refrain di “
Stay away” e “
Mr. Destiny”, "
I am your man" (scritta da
Steve Newman) e "
Broken dreams" riescono ad attrarre un minimo l’attenzione del
rockofilo appassionato, abituato a ben altri livelli di tensione espressiva.
Peccato, e sperando che si sia trattato di una fase di “rodaggio” della nuova
line-up, esortiamo i
FarCry a non mollare e li attendiamo a prove artistiche maggiormente incisive e convincenti.
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