Strano destino, quello toccato a
Stephen Crane … prima colpevolmente “dimenticato” dalla comunità melodica internazionale e poi, nel momento di una potenziale “rivalutazione”, trascurato pure anche da un
writer di
Metal.it ormai colpito da segnali importanti d’incipiente senilità.
Ora, la “missione” di quest’ultimo è di cercare di attenuare il “dolo” recuperando l’analisi di un disco inspiegabilmente finito nelle lande ignote del suo
hard – disc e solo oggi riemerso in tutto il suo scintillante ardore
ottantiano.
Eh già, perché “
Kicks”, debutto del 1984 del nostro
Crane (ex- Baby) è un lavoro intrigante, almeno se i suoni del
rock melodico degli
eighties, evocativo, “danzabile” e accattivante allo stesso tempo, rappresentano una delle vostre incrollabili passioni musicali.
Un album “stranamente” trascurato da una
scena di solito molto attenta e minuziosa nelle analisi “filologiche”, impreziosito, tra l’altro, da un autentico
parterre de rois di ospiti (
Steve Lukather, Jeff, Mike e Steve Porcaro, Richard Page, Duane Sciacqua, Jai Winding, Tom Kelly, James Newton Howard, …) a garantire, oltre alla scontata professionalità e sensibilità esecutiva, anche una notevole considerazione nei confronti del cantante e bassista americano.
La presenza di un’importante “fetta” dei Toto verosimilmente incuriosirà i loro
fans, ma sarebbe un errore attendersi un tentativo di “replica” dei
Maestri, dacché nell’opera sono addirittura più urgenti i rimandi a Van Stephenson,
Billy Squier,
Eddie Money, The Babys (quelli britannici) e Sabu a cui aggiungere, nei momenti più commerciali e
poppettosi, addirittura qualcosa degli Huey Lewis and the News.
La ristampa in
Cd a cura della
AOR Heaven arriva dunque a tentare di sanare una situazione davvero iniqua, restituendo agli appassionati del settore un “diamante” sonoro per certi versi ancora un po’ “grezzo”, a cui per una piena finitura mancava forse un pizzico di “esplosività melodica” e ruffianeria.
Ciò non toglie che “
Kicks” meriti una notevole considerazione, anche oggi che certe sonorità sono in qualche modo tornate in auge e il tentativo di riprodurle non possiede sempre la giusta passionalità.
Insomma, se vi piace il
rock pulsante, spensierato e “cinematografico” di un’epoca che spesso viene tuttora guardata con “nostalgia” e ammirazione, affidatevi con fiducia ai battiti di “
Headed for a heartbreak”, alle frizzanti “
Joanne” e “
I’ll take care for you”, alla notturna
title-track dell’albo e alla gustosa "
Back on my feet again" (questa sì, vagamente Toto-
esca, anche grazie al solo di
Lukather).
A chi invece predilige ambiti maggiormente romantici è invece indirizzata “
All my love” (una specie di fusione tra
John Waite e bagliori di KC and the Sunshine Band), mentre in “
Victims of love” e “
I can’t wait” vengono mescolati tensione
hard-blues e disinvoltura radiofonica.
All’appello mancano la martellante gradevolezza di “
Sooner or later” e la languida “
Crying don’t look good on you”,
pericolosamente vicina ai limiti della stucchevolezza.
La speranza è, dunque, che quest’ammenda possa contribuire ad attirare l’attenzione di qualche
chic-rocker vigile anche nei confronti della “storia” del genere, spesso ancora in grado di riservare belle misconosciute “sorprese”.