Il
revival ottantiano continua imperterrito in molti settori musicali e le ragioni di un fenomeno che non accenna a esaurirsi forse non sono solo da ricercare nella “nostalgia” di coloro che quegli anni li hanno vissuti o in una crisi creativa comunque abbastanza diffusa.
La voglia di “spensieratezza”, anche se magari illusoria e temporanea, è verosimilmente da annoverare tra le principali cause della succitata situazione, e qualora, nello specifico, non siate ancora “guariti” dalla sindrome “
Rock of Ages”, il mio consiglio è di non trascurare il secondo
full-length di
John Dallas, cantante e musicista italiano innamorato dell’epoca aurea del
Sunset Strip.
Il difficile, in tali circostanze, è risultare credibili e non scadere nella parodia di un una “scena” che ha visto Motley Crue, Poison, Skid Row, Ratt e Quiet Riot tra i principali protagonisti.
“
Love & glory” (titolo molto affine alle intenzioni della nostra
webzine …) è tutt’altro che una forma di sterile emulazione e fin dal primo contatto rivela l’attitudine spontanea e istintiva di un
bad boy of R n’ R (con un animo sensibile … vedi le ali angeliche con cui è raffigurato nella
front-cover …) capace di mescolare ad arte adrenalina, sfrontatezza e melodia, supportato nell’impresa da musici altrettanto ispirati e preparati (il funambolico chitarrista
Tom Angeles, il bassista
Black Sam Carbo e il batterista
Andy, noto anche per la militanza negli Speed Stroke).
Nei quarantatré minuti dell’opera troverete un po’ di tutta quella bella “robetta” con cui ogni estimatore del genere ama trascorrere il suo tempo di qualità, magari fantasticando che il contenuto del disco sia la colonna sonora delle sue scorribande sulle
highway californiane, a bordo di una decapottabile con una maggiorata bionda al suo fianco.
Un’immagine densa di “retorica” che nonostante tutto appaga e diverte, soprattutto se poi l’
opener “
Anymore” pulsa istantaneamente nei sensi, i
party-metal “
Bad sister” e la viziosa “
Drive me tonight” (qualcosa tra
Alice Cooper e Poison) scandiscono i loro cori adescanti o “
Glory” illanguidisce l’atmosfera con la sua melodia viscosa, così splendidamente al limite del
kitsch.
L’autocelebrativa “
John Dallas” mesce con buongusto, ma senza particolari scosse, AC/DC e Kiss, mentre “
Love never dies” rivela il lato più
chic-oso del nostro, in grado di assorbire gli insegnamenti di Journey e di certi Van Hagar nel suo bagaglio espressivo.
L’ombrosa “
Dancing all night” irrompe con la carica emotiva di un altro palese
highlight del programma, seguita dalle sfumature
glitterate di “
I’ll be waiting” e dalla romantica “
Shine on”, non troppo lontane dal poter essere collocate anche loro tra i momenti migliori di un albo in ogni caso privo di controindicazioni.
Eh già, perché anche la seducente “
Lovers” e la scorbutica “
Wasted” bruciano di un
feeling autentico e intenso, scacciando con forza il rischio di manierismo, costantemente in agguato in questi contesti.
Insomma, come già affermai ai tempi dell’esordio “
Wild life”, il nome di
John Dallas merita un’enorme considerazione da parte di chi ritiene che al cospetto di una mole così imponente di “buone vibrazioni” si possa anche fare tranquillamente a meno dell’innovazione.
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