Questo album sarebbe potuto piacere a poeti crepuscolari come
Ugo Foscolo e
Giacomo Leopardi.
Perché chi più di loro ha descritto la tragedia umana della vita; il doom metal nella sua veste più classica è la descrizione dell’agonia, ma non in senso meramente fisico, qui si parla di interiorità.
È la rabbia muta, dolente contro gli dei che hanno condannato l’uomo al suo destino, è il sapore dolceamaro della caducità della vita, malinconica e consolatoria.
I
Candlemass sono stati i portatori di questo sentimento umbratile e triste, e questi americani sono dei buoni discepoli; questo breve disco fatto di soli sei brani dalla durata di poco più di mezz’ora esce nella stagione più adatta.
Non la gioiosa e spensierata estate fatta di motivetti musicali usa e getta che non hanno senso e costrutto, ma il più riflessivo periodo tardo autunnale dove il sentimento si fa più scuro e carico di tristezza.
Basta ascoltare il brano d’apertura “
When the darkness comes”, per venire assorbiti completamente dal mood melanconico della band statunitense.
Cadenze lente, riff compressi e voci pulite dal mood epico; la melodia è ben presente non solo vocalmente ma anche negli intrecci delle chitarre.
“
The union”, porta con sé il gonfio sentore di mestizia e drammaticità; incedere lento, con riff pesanti e melodia amara.
Le voci pulite, che s’intersecano portano il peso gravoso dell’esistenza, un peso difficile da sopportare; le armonizzazioni di chitarra non portano dolcezza ma solo un sapore aspro e cupo.
“
Deeper than the oceans”, parte con un arpeggio per poi indurirsi in un granitico brano doom, dove lentezza e gravosità emotiva la fanno da padrone.
Le voce è pulita, cristallina e soprattutto coinvolgente a livello emotivo; gli assoli sono melodici e intensi.
Un album che conferma il buono stato di salute artistica dei quattro americani, un ritorno che farà certamente felici i seguaci del genere nella più pura forma.
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