“
La mia è classe, caro il mio coglionazzo!” soleva ribadire
Diego Catellani nel primo, indimenticabile
Fantozzi.
Ebbene, ascoltando il primo
full length dei
Dold Vorde Ens Navn gli arroganti proclami dell’
Onorevole Cavaliere sono spesso balenati nella mia testa. Individuerei, infatti, proprio nella classe il tratto distintivo di “
Mørkere”, prelibato frutto della collaborazione di vecchi lupi di mare della scena norvegese.
Si potrebbe pensare che collocando nel medesimo studio di registrazione musicisti che hanno militato in gruppi come
Ulver,
Aura Noir,
Ved Buens Ende e
Dødheimsgard il risultato non possa che essere rimarchevole… ma si commetterebbe un grossolano errore.
Il
metal, ahimè -o per fortuna-, non è un’equazione o una formula matematica, e l’affollato cimitero delle
all star band che hanno deluso le aspettative è lì a dimostrarlo.
Nel caso che ci occupa, invece, da cotanta sapienza è scaturita una piccola gemma estrema.
I
Dold Vorde Ens Navn, pur mantenendo il proprio sound saldamente entro i confini del
black, non hanno paura di osare, di spaziare, di esplorare i territori di confine di un genere che ha già ampiamente dimostrato la sua duttilità.
Così, nella
tracklist di “
Mørkere” si passa senza colpo ferire da venefici
riff dissonanti ad intime digressioni dal taglio sinfonico, da teatrali parentesi di matrice
avantgarde a soluzioni a cavallo tra musica liturgica e colonne sonore. Un eclettismo che i Nostri avevano messo già in mostra in occasione del primo
EP, ma che qui risulta più a fuoco e maggiormente coeso.
La parte del leone, a parere di chi scrive, la recita il
singer Vicotnik, autore di una prestazione mostruosa: sorta di via di mezzo tra
Garm e
Attila, il nostro marchia a fuoco ogni singola linea vocale, che sia in
screaming o in
clean, che sia urlata, recitata, declamata o sussurrata.
Se ne deve essere accorto anche il produttore, tanto che fatico a ricordare un
album black metal in cui venisse accordata cotale preminenza, anche in termini di missaggio, alle
vocals.
Con questo non si vuole affatto sottintendere che il tessuto strumentale passi in secondo piano. Tutt’altro: le trame chitarristiche di
Haavard stupiscono per originalità e varietà di soluzioni, mentre la sezione ritmica sa perfettamente quando percuotere senza pietà, quando concedere respiro e quando puntare sul
groove.
Ad inficiare leggermente la resa complessiva intervengono alcuni passaggi tirati troppo per le lunghe, un paio di episodi lievemente sottotono (la conclusiva “
Syke hjerter” in particolar modo) ed una seconda metà del
platter nel complesso meno incisiva rispetto alla prima. Peccato, perché l’otto in pagella era lì, ad un passo.
Anche così, comunque sia, i
Dold Vorde Ens Navn rimangono una compagine meritevole della massima attenzione, e “
Mørkere” un’opera particolare, per certi versi spiazzante, colma di spunti e di grandi intuizioni.
D’altro canto la classe, come si sa, non è acqua.