Il mio rapporto con i
Wobbler è sempre stato di odio/amore. Se da una parte ho sempre apprezzato la loro meticolosità nel risultare fedeli ai classici del progressive “che fu”, dall’altra non ho mai sopportato questa determinazione nel voler suonare
vintage a tutti i costi.
C’è voluta la
Karisma Records per togliere la band da quella nicchia che si era (volutamente) creata ai tempi dell’esordio
“Hinterland” (2005) e dei successivi
“Afterglow” (2009) e
“Rites At Dawn” (2011), qui raccolti insieme per la prima volta per la gioia dei fan e dei collezionisti, impossibilitati a mettere le mani sulle poche copie originali ancora in circolazione.
È davvero difficile convincersi di trovarsi di fronte a musica scritta e registrata nel nuovo millennio. In alcuni momenti il senso di
déjà vu è così disorientante da non riuscire ad ammettere che si sta ascoltando una moderna band norvegese e non un’oscura formazione inglese degli Anni Settanta di cui sono appena stati ritrovati i nastri che si credevano perduti da tempo.
Senza dubbio i migliori nel loro genere. Che poi il loro genere venga ironicamente definito
regressive è un altro discorso.
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