Copertina 8

Info

Anno di uscita:1970
Durata:44 min.
Etichetta:Vertigo

Tracklist

  1. VULTURE BLOOD
  2. NO CHANCE
  3. BURNING
  4. ST. LOUIS
  5. RITUAL
  6. SOLITUDE
  7. WOMAN OF THE DEVIL

Line up

  • Ashley Holt: vocals
  • Ged Peck: guitar
  • Mac Poole: drums
  • Nick Simper: bass
  • Frank Wilson: keyboards

Voto medio utenti

Il breve periodo tra il 1969 ed il 1970 pone le basi per tutto ciò che, dopo alcuni anni, sarebbe stato definito heavy metal. Se i Led Zeppelin gettano sinistre ombre premonitrici, prima con una canzone come "Communication Breakdown", poi con il riff purificatore ed inceneritore di "Whole Lotta Love", tocca poi ai Black Sabbath dell'omonimo esordio inscenare riti di inedita pesantezza elettrica. È quindi la volta dei Deep Purple che, sbarazzatisi della "zavorra" di Rod Evans e Nick Simper, sostituiti rispettivamente da Ian Gillan e Roger Glover, si liberano di qualsiasi scolarismo istituzionale ("Concerto For Group And Orchestra"), eruttando la bomba "In Rock". Il più famoso esempio di proto heavy metal con derive progressive? Credo proprio di si.

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Come dovrebbero sapere anche i sassi in questa strana epoca di finta "condivisione" culturale, la sacra trinità del suono pesante anglosassone, viene contornata da altre realtà che, pur non raggiungendo i medesimi livelli di popolarità (e di qualità), ne respirano tuttavia la medesima aria. Dimostrando, peraltro, un gruppo sanguigno compatibile con i "campioni" succitati. Mi riferisco agli straordinari Uriah Heep, che passeranno alla storia come i più famosi "numeri 2" dei Seventies, ma anche ai profeti del dark progressive Atomic Rooster ("Death Walks Behind You", altro disco manifesto di quei "tempi duri"), oppure agli atipici cult heroes Quatermass, primo esempio di hard rock band priva di chitarra. Per non parlare di creature inquietanti alla stregua di Black Widow e High Tide, oppure degli assai sfortunati Leaf Hound e May Blitz. Succede in ogni contesto storico: una scena non può essere mai considerata tale se, ad accompagnare i "big", non si plasma un altrettanto valida schiera di "losers", che però contribuiscono a puntare ulteriormente le luci dei riflettori sulle gesta dei capibranco.

Il 1970, si diceva sopra: è proprio questo l'anno in cui viene pubblicato l'album d'esordio dei Warhorse, quintetto che annovera tra le proprie fila il succitato bassista Nick Simper, di Purpleiana provenienza. Dopo aver pagato con l'esonero le non esaltanti cifre di vendita di "Shades Of Deep Purple", "The Book Of Talyesin" e "Deep Purple", Simper recluta il chitarrista Ged Peck, il batterista Mac Poole, ed il tastierista Tony Wilson, non prima aver tentato di "accaparrarsi" addirittura Rick Wakeman. I Warhorse serrano definitivamente le fila con il cantante Ashley Holt, precedentemente conosciuto da Simper durante un'audizione presso i Deep Purple stessi, i quali gli preferiscono tuttavia Rod Evans.
Il primo album omonimo esce per la Vertigo, una protesi underground della leggendaria Phonogram, e presenta un artwork di copertina assolutamente splendido. Una fotografia di un soldato della Prima Guerra Mondiale a fianco del proprio cavallo, rifinita da Markus Keef, uno dei più richiesti artisti di quel tempo da parte delle rock band. Tralasciando l'eccellente grafica, il contenuto musicale di "Warhorse" amplifica determinate tematiche, con il dark sound irrorato di Hammond a definire capolavori quali "Vulture Blood" e "Woman Of The Devil". Il botta e risposta tra chitarra ed organo richiama ovviamente il passato di Simper nei Deep Purple, anche se in ballate dall'ampio respiro progressivo come "Solitude" e "No Chance" spiccano colti riferimenti, nemmeno troppo velati, al Keith Emerson dei The Nice di "Ars Longa Vita Brevis" ed agli stessi ELP. La sponda più visceralmente hard rock viene bagnata dalle onde increspate di "St. Louis", brano originariamente firmato dagli Easybeats di Wanda & Young, ovvero i futuri produttori degli AC/DC. La versione è splendida, con Ashley Holt che sviscera una potenza "polmonare" decisamente prossima a quella di Ian Gillan: pubblicata anche come singolo, la canzone non ottiene il clamoroso successo commerciale di "Black Night" (Deep Purple), eppure riscuote molti consensi, soprattutto nell'Europa non inglese. "Ritual" e "Burning", dal canto loro, sintetizzano molto bene tutto ciò che viene considerato heavy rock nell'anno domini 1970, mixando intensità e potenza in eguale misura, all'interno di una sintassi sonora già complessa e poderosa.

Il successivo LP "Red Sea" (1972) amplifica le similitudini con i Deep Purple, raschiando una certa patina dark/prog, che inizialmente inserisce i Warhorse in un club più esclusivo, inteso anche in termini di vendite calmierate. Quello, appunto, a cui appartengano Black Widow, High Tide ed Atomic Rooster. Un circuito proto heavy che, tuttavia, non cessa nemmeno oggi di sprigionare il suo fascino ancestrale.

Recensione a cura di Alessandro Ariatti

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