Non c'è niente da fare: per quanto ci provi, mi sforzi, ci ragioni razionalmente, i
Moonlight Haze non riescono a prendermi.
La creatura di
Chiara Tricarico e
Giulio Capone arriva al terzo album in tre anni, e "
Animus" mantiene inalterata la formula (obiettivamente) vincente dei primi due capitoli: titolo in latino, testi carichi di positività e messaggi incoraggianti, copertina sognante ed un sound che gironzola come sempre tra Epica, Nightwish e (soprattutto) i Delain che furono, della mai troppo compianta Charlotte Wessels, oggi persa a fare l'influencer e la promoter di se stessa su Patreon.
Tornando all'album, la cosa che come sempre mi fa riflettere è il fatto che, dal punto di vista formale, anche questo album (come i due precedenti) sia ineccepibile: musica ben suonata, riff belli grossi ed una bella sezione ritmica, un grande infarcimento di tastiere ed arrangiamenti multi-layer, una voce ormai riconoscibile e centrale, una produzione di alto livello ed il sound di Simone Mularoni che ormai è una garanzia, una grande spinta della label, insomma ci siamo capiti, i Moonlight Haze sono un prodotto super vendibile, easy, di sicuro impatto tra le giovani generazioni, con la giusta cura all'immagine e tutto quanto. Formalmente, davvero, non manca niente, e mi ci gioco quello che volete che l'album venderà bene, e vi dico di più, i ragazzi se lo meritano, perché si percepisce lo sforzo e l'amore per la propria creatura in ogni nota.
Il punto, però, è che, a parte un paio di pezzi, gli altri si assomigliano tutti; fai fatica a trovare il momento memorabile, il guizzo, l'idea che si discosti dalla stra-abusata formula vincente e che ti faccia tornare un attimo indietro a risentire un brano, un passaggio. Fatta salva l'opener "
The Nothing" o la speedy "
A Ritual of Fire", il resto è un meraviglioso ricalcare le orme dei Grandi (un esempio a caso, "
Never say Never" è talmente Nightwish-esca da farti alzare un paio di sopracciglia). Insomma, per me è 'solo' un problema di personalità. I Moonlight Haze somigliano a tantissimo di già sentito e non portano un'oncia di novità in un genere che, soprattutto negli ultimi anni, rischia pericolosamente di essere sovraffollato.
Non me ne vogliano Chiara, Giulio e gli altri bravissimi musicisti di questa band, verso la quale non ho davvero nessun preconcetto, e della quale anzi ammiro l'impegno, la costanza e la dedizione; ma per me, ascoltato mille volte, "Animus" ha lo stesso effetto dei due precedenti: bellino, curatissimo, ma ahimé trascurabile e dimenticabile molto, troppo in fretta. Colpa mia, di sicuro.
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