Non è cambiato moltissimo da
“Satellites”, esordio del 2020 pubblicato dal duo
Shankar/Englund.
Le atmosfere sempre rarefatte, caratterizzate da arrangiamenti minimali ma futuristici (
“Fallen From Heart”, “Better Days”) che talvolta sfociano nella musica ambient (
“Taper”, “Closer”) regnano sovrane, ma sono tante sfumature dello stesso colore di cui è fatto
“Nectar”.
Vengono in mente
Tim Bowness (
“Neverending”),
Steve Hogarth (
“Let It Hurt”) e Tori Amos (
“The One”), ma sono gli episodi più originali a spiccare, come la cinematografica
“Leaving” e l’ottima
“Cold”, che mette a sistema la freddezza del synth-pop con il calore dell’orchestra d’archi.
Chiude il cerchio la strumentale titletrack, poco più di tre minuti di pianoforte solo a cavallo tra Erik Satie, Philip Glass e Michael Nyman.
Comunque più convincente del suo predecessore.
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