Nonostante la denominazione del gruppo sia abbastanza “particolare” e i suoi componenti possano contare su
curricula di rilievo, il rischio che il debutto eponimo dei
Days Of Wine finisca per perdersi nel
mare magnum delle uscite contemporanee è piuttosto concreto.
E sarebbe un peccato, soprattutto per gli estimatori del “rock classico” di matrice statunitense, intriso dalla malinconia del
blues, sferzato dalla grinta del
rock n’ roll e avvolto dal broccato dell’
AOR.
E allora proviamo ad attirare l’attenzione di questi ultimi iniziando col rivelare che dietro a tale
enologico monicker si “nascondono” musicisti esperti della scena scandinava (Stuntbandet, 21 Guns, Phenomena, A-Ha e Sons Of Angels, sono solo alcune delle loro esperienze professionali) e che all’opera hanno preso parte ospiti del calibro di
Gregg & Matt Bissonette (
David Lee Roth,
Ringo Starr,
Joe Satriani, Toto, Santana,
Ozzy Osbourne, …),
Jon Pettersen (Ammunition), M
arkus Klyve (Tekro’s Kingdom),
Lars Andrè Kvistum (Conception) e
Ronni Le Tekro (TNT, Tekro’s Kingdom).
Anche a chi fosse rimasto “indifferente” di fronte a tali informazioni suggerisco di non snobbare “
Days of wine”, un lavoro che sa colpire piacevolmente grazie ai suoi contenuti sonori, come anticipato esplicitati attraverso un misto di
rock-blues AOR-eggiante davvero gradevole, pilotato dalla voce calda di
Leif Digernes (capace di intriganti sfumature
Bowie-esche …), per chi scrive una vera “sorpresa”, seppur all’interno di un canovaccio espressivo tutt’altro che sorprendente.
Il “segreto” sta nella capacità di scrivere e interpretare con innata sensibilità brani pulsanti come “
Seven days”, frammenti notturni e vellutati come “
Devil’s bill” e "
Angels in disguise” o delizie “radiofoniche” del livello di “
Spread your wings”, perfetta anche per impreziosire la colonna sonora di una pellicola d’ispirazione
ottantiana.
L’elettroacustica “
Healerman”, intensa e pervasa di garbata nostalgia, rappresenta un'altra opportunità per ostentare le notevoli doti vocali di
Digernes, mentre con la solare
“Like the others” e “
Never stop believing” a riconquistare il proscenio è il tipico clima da “sogno americano”.
Bad Company e The Law vengono rievocati con buongusto nel grintoso singolo “
My last kiss” e qualora abbiate ancora bisogno di conferme sull’attitudine alla materia dei
Days Of Wine, arrivano la passionale “
Paint the sky” (appena uno
zinzino stucchevole, invero) e la vibrante
title-track dell’albo a fugare ogni eventuale dubbio residuo.
Siamo di fronte, insomma, a un disco che sa di “antico” e tuttavia per merito di un
feeling autentico non scade nella parodia e che mi sento di consigliare a tutti i
rockofili (anche agli astemi …) amanti della inossidabile tradizione del genere.
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