Copertina 7

Info

Anno di uscita:2007
Durata:67 min.
Etichetta:Locomotive
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. WATERS RISING
  2. ANTARCTICA
  3. BECOME A MONSTER
  4. QUARANTINE
  5. I HAVE TO DIE, GOODBYE
  6. FEAR OF TIME
  7. UNTIL THE END OF THE WORLD
  8. FIELDS OF YESTERDAY
  9. THIRST
  10. THE 2ND OF MAY
  11. DEEP IN THE BLACK
  12. 5

Line up

  • Derrick Lefevre: vocals
  • Steve Blaze: guitar
  • Sam Poitevent: guitar
  • Eric Moss: bass
  • Ken Koudelka: drums

Voto medio utenti

Ascoltando “Water rising” è quasi inevitabile riscontrare talune affinità tra questo ritorno discografico dei Lillian Axe e le prove più recenti di Night Ranger (“Hole in the sun”) e Winger (“IV”). Analoghi gli esordi all’insegna di un hard-rock melodico e cromato, simile l’effetto che negli anni gli eventi musicali hanno presumibilmente suscitato sulle loro personalità artistiche e non troppo distante nemmeno l’approccio “modernamente retrospettivo” applicato nei lavori con i quali i tre gruppi americani provano a riconquistare l’attenzione del pubblico.
Di diverso, questo sì, c’è la caratura e la fama raggiunte nelle rispettive stagioni della “gloria”, enormi per le creature di Winger/Beach/Morgenstein e Gillis/Watson/Blades/Keagy, sostanziose ma molto meno rutilanti ed “influenti” quelle ottenute dal mezzo espressivo di Steve Blaze, rimasto oggi l’unico membro originale del combo made in Louisiana.
Un ottimo debutto patrocinato da Robbin Crosby dei Ratt e poi una serie piuttosto consistente di altre pubblicazioni (cinque prima di questa, tra alti e bassi), capaci di conseguire importanti gratificazioni e creare un fedele seguito di sostenitori, senza, però, conquistare mai le vette di quelli che, come si dice, “hanno svoltato” veramente.
Ed ora “Water rising”, con un nuovo cantante, Derrick Lefevre, in grado di non far rimpiangere lo “storico” Ron Taylor (i due, tra l’altro, si assomigliano parecchio per timbrica e stile interpretativo) e un gradevole misto di suoni “tradizionalmente” ottantiani e suggestioni musicali più cupe e aggressive, un rock duro “attualizzato” con criterio, che qualche “maligno” potrebbe considerare come il tentativo di non “scontentare” nessuno (o forse tutti?), ma che, alla fine, non dispiace affatto, risultando, obiettivamente, il frutto di una band che non scorda le sue origini e non vuole, al tempo stesso, rimanerne schiava assoluta.
Le due “anime” convivono, dunque, in maniera sufficientemente armonica negli oltre sessanta minuti di durata del Cd, e se la pregevole title-track è maggiormente spostata verso atmosfere tutto sommato “classiche”, le chitarre fosche e le strutture vocali di “Antarctica” e “Become a monster” (bello il suo “tenebroso” break), rendono i Lillian Axe un competente “modern hard-rock outfit”, in grado di sorprendere i “progressisti” e, forse, deludere un po’ gli irriducibili “nostalgici”.
“Quarantine” cita gli Eagles e la loro “Hotel California” e cerca, senza convincere pienamente peraltro, di teletrasportare la sua linea melodica fino ai giorni nostri, e meglio di lei fa sicuramente “I have to die, goodbye”, intrigante crocevia elettro-acustico tra Led Zeppelin, Styx, Extreme e Alter Bridge.
Tralasciando la minore efficacia di “Fear of time”, “Thirst” e “The 2nd of may”, sempre in bilico tra “passato” e “presente”, segnaliamo “Until the end of the world” e l’accorata ballata “Fields of yesterday”, gli indubbi momenti clou del platter, ricchi di pathos, sensibilità e forza interpretativa, alimentati da un gusto seventies nella scelta dei suoni di grande suggestione, e pure “Deep in the black”, in cui fanno capolino addirittura balugini delle costruzioni drammatiche care ai Pink Floyd, ben metabolizzate dai nostri ‘Axe.
Chiusura dell’albo riservata a “5”, il quale ci offre l’opportunità di sottolineare la considerevole abilità specifica di Blaze, un chitarrista veramente bravo sotto tutti i punti di vista e non solo per quanto regala in questo rispettabile strumentale (vagamente a-la “Mr. Scary”, di Lynch-iana memoria).
Tornando alla comparazione illustrata all’inizio di questa disamina, eccola un’altra differenza importante: la valutazione finale, che assegna a “Water rising” “soltanto” il titolo di “buon disco” e lo colloca, in un’ipotetica classifica di merito, alle spalle dei suoi insigni competitors.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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