Che i
Bloody Heels avessero un debole per la scena
hair-metal statunitense lo avevamo capito ascoltando i loro precedenti lavori, ma evidentemente nella loro formazione di
band emergente non era quella l’unica importante influenza artistica. Del resto, per un gruppo nato nel 2012, curioso e avido di stimoli espressivi, non è improbabile finire per essere suggestionato anche da fenomeni musicali come il
grunge, l’
alternative e il
gothic metal, tuttavia non sono comunque in molti poi quelli che tentano di combinare tutti i propri gusti sonori con l’intento di trovare una “propria” strada.
In “
Rotten romance” i lettoni sembrano proprio determinati a seguire questa strada “difficile” e se da un lato va apprezzata l’intenzione, dall’altra il risultato finale è ancora piuttosto lontano da fornire l’immagine nitida di una efficiente commistione stilistica.
Il cantato
Vicky White, non sempre adeguato alle varie sfumature soniche, rappresenta un’altra potenziale fonte di perplessità e così se l’
opener “
Dream killers” è un interessante esperimento di fusione tra
metal moderno e
hard-rock melodico, già nella t
itle-track dell’albo l’operazione perde di efficacia, al pari di quanto accade nella ombrosa “
The velvet”, che vorrebbe conquistare l’
airplay del
rock contemporaneo senza la necessaria scaltrezza.
Non andiamo tanto meglio nemmeno con la successiva “
Distant memory”, mentre tocca a
“Hour of sinners” consentire al programma di risollevarsi dall’anonimato in virtù di una possente tensione espressiva, pilotata da un intrigante
riff portante.
Ancora un paio di circostanze interlocutorie (un’innocua “
Mirror mirror” e la vagamente molesta “
When the rain and I meet”, con
White autore di un’interpretazione melodrammatica decisamente “fuori fuoco”), prima che “
Crow’s lullaby” attiri nuovamente, almeno un po’, l’attenzione.
Le atmosfere Skid Row-
esche (quelli di “
Thickskin”, però …) di “
Burning bridges” e le strutture armoniche volubili e confuse di “
Angels crying” e “
Oblivion” concludono un disco dagli effetti emotivi molto altalenanti, che fotografa i
Bloody Heels in un momento di transizione assai instabile, necessario, ce lo auguriamo, per consentire quell’evoluzione virtuosa che potrà portarli, distinguendoli dalla massa degli “imitatori seriali” che affolla il nostro
rockrama, ad entusiasmare pienamente gli appassionati del settore.
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