Credo non siano in molti a conoscere
Jadd Shickler, neppure tra gli appassionati di generi come stoner, doom, desert, psych. Eppure è stato il co-fondatore della Meteorcity, la storica etichetta americana che dalla seconda metà dei '90 ha sostenuto una vagonata di bands spettacolari e prodotto una cospicua quantità di dischi fondamentali del settore. Label che, insieme a Man's Ruin, ha contribuito in maniera decisiva all'affermazione di correnti heavy alternative che si sono poi diffuse in ogni parte del globo. Un musicista, produttore, manager, talent-scout, che da oltre tre decenni si dedica a promuovere il movimento rock underground nelle sue molteplici sfaccettature.
Oggi
Jadd è impegnato con altre case discografiche, vedi Magnetic Eye Records e Blues Funeral Recordings, ma non ha dimenticato la sua passione per la musica in prima persona. Qualcuno lo ricorderà cantante degli Spiritu, la band del New Mexico fondata nel 2000 ed autrice di due buoni album stoner ("Spiritu" e "Human failures"), mentre ora esordisce con la nuova creatura
Blue Heron, sempre in compagnia dell'eterno amico chitarrista
Mike Chavez (già negli Spiritu).
Le basi stilistiche non cambiano: stoner-rock con forti influenze psichedeliche ed una robusta atmosfera doomy che rende il sound piuttosto austero ed evocativo.
L'opener "
Futurola" è un classico episodio di genere, robusto e roccioso ma sinuoso come le spire di un serpente. Il passo trascinato e la chitarra fuzz sono da manuale, così come la voce vagamente grungy di
Shickler, ed il brano trasmette vibrazioni desertiche assai pronunciate che ricordano colleghi come Dozer, Lowrider, Unida. Tema non sorprendente, ma ben eseguito da musicisti che masticano queste sonorità da tutta la vita.
La seguente "
Sayonara" rappresenta il massimo sforzo creativo prodotto da questa formazione: un trip di tredici minuti bilanciato tra solido groove doom-desert ed impennate di psichedelia cosmica brillanti e magnetiche. Dopo la metà del lungo brano,
Chavez prende il comando con attitudine alla Isaiah Mitchell e le note cristalline della sua chitarra ci cullano in visioni stellari per ricondurci poi al turgido riff iniziale ed alla concreta solidità dello stoner. Pezzo lungo, ma tutt'altro che noioso.
Bene anche "
Push in the sky", Kyussiana fino al midollo, giocata sul drumming flessibile di
Ricardo Sanchez e sulle linee vocali sognanti ed amare alla Jerry Garcia. Un pò derivativa, ma l'esperienza dei musicisti la mantiene sopra il livello della sufficienza.
"
Infinition field" è un breve strumentale rarefatto e cosmico, che introduce la cupa e sinistra "
The buck". Immaginate un rituale oscuro e misterico realizzato nel pieno del deserto del Nuovo Messico, ed avrete la nitida fotografia delle emozioni generate da questa canzone. Sound notturno ed acido, sensazioni inquietanti e brividi lungo la spina dorsale, una piccola gemma stoner-psych che ti avvolge in un misto di inquietudine e ineluttibilità del destino. Gran pezzo.
Più robusta e rocciosa "
Black blood of the earth", ma anche più canonica. Piace l'alternanza di vocals sensuali e rissose, così come i rallentamenti squadrati e le impennate lisergiche di
Chavez, ma nell'insieme si tratta di un pezzo ben congegnato ma con sottile retrogusto di già sentito.
In chiusura del lavoro troviamo il cameo acustico e malinconico "
Where one went togheter", due minuti di folk-dark-psych, seguito dalla traccia più doom in scaletta: "
Salvage", che ricorda molto la produzione Spiritu. Sviluppo lento e sofferto, sconsolato ed autocommiserativo, alternato ad esplosioni di energia metropolitana metal-stoner. Presente una venatura rabbiosa ed un chiaro omaggio al filone post-Sabbathiano, influenza da sempre evidente nella musica di
Jadd e soci. Personalmente mi ha ricordato i sottovalutati Sixty Watt Shaman, cosa assolutamente positiva.
Il ritorno sulle scene di
Shickler mi ha convinto. Questi
Blue Heron sono una buona formazione, non sconvolgente ma certamente di ottimo livello. D'altronde, da un personaggio che ha dedicato l'intera sua attività allo stoner e suoi derivati non ci si poteva attendere un prodotto banale e scadente. Un disco che cresce ad ogni ascolto, ricco di dettagli e perizia tecnica, magari non troppo innovativo ma davvero gratificante per il suo sapiente connubio tra dune ed oscurità.