Apparsi dal nulla (o quasi), i portoghesi
Seventh Storm arrivano direttamente al debutto su un’etichetta importante come la
Atomic Fire (recentemente nata dallo split di
Markus Staiger con la
Nuclear Blast) e con “
Maledictus” piazzano subito un gran bel colpo.
Per cui aprite bene le orecchie.
La band può anche sfoggiare tra i propri componenti un musicista con un passato illustre:
Mike Gaspar. Lo storico drummer dei Moonspell (presente dalle origini fino al 2020) non solo è il fondatore del gruppo ma ne caratterizza profondamente il suono e la proposta musicale avendo scritto ed arrangiato tutto il materiale.
Meglio quindi parlare subito del disco senza perdere ulteriore tempo.
La proposta dei lusitani è un metal di stampo in parte classico ma con rimandi dark, spruzzate estreme, accenni power degli anni post 2000, tutt’altro che ancorato al passato, anzi, presenta più di qualche modernismo. Il songwriting vede infatti una certa influenza progressiva, non intesa come onanismo strumentale ma come modo di costruire le canzoni non prevedibile, con molti cambi di mood, stacchi, accelerazioni, momenti intimi e saliscendi emozionali. Caratterizzazioni che vedono anche una leggera presenza di tastiere e orchestrazioni a creare atmosfera, saltuari blast beat che arrivano come un pugno in faccia, una splendida malinconia gotica sempre presente ed un sapore etnico mai troppo invasivo.
Indicazioni? Shakerate Symphony X, Trivium, Paradise Lost, Cradle of Filth, Moonspell e forse ci andrete vicino.
Troppe cose tutte insieme? Roba da fighetti del metal? Eccessivi modernismi che tolgono spazio alla veracità della proposta? Potrebbe sembrare ma non è affatto così perché i
Seventh Storm hanno personalità, sanno gestire le loro capacità ed hanno una chiara identità che li lega a doppio filo con il loro Paese. Senza contare che
Mike è un vecchio lupo di mare e sa come condurre la sua band.
Durante l’ascolto del disco sale poco alla volta l’urgenza di divorarlo, di volerne di più, di riascoltarlo il prima possibile, di assimilarlo per bene, perché non è un lavoro complesso ma semplicemente stratificato. Entra piano piano ed una volta caduti nella sua rete ne diverrete piacevolmente dipendenti e sarà appagante farvi cullare nella sua dolce malinconia. La parola chiave è proprio “saudade” (malinconia, in portoghese) ed è un sentimento sempre palpabile, sempre presente, come quando si pensa ad un amico o un parente che ci ha lasciato troppo presto, il trovarsi lontano da casa, il rivivere le memorie di una vita felice rispetto ai problemi di oggi. È quasi un dolore di vivere. Scusate se insisto su questo punto ma è importante, sia perché è un concetto presente su tutto “
Maledictus”, sia perché è qualcosa di radicato nella cultura lusitana. E proprio “
Saudade” è anche il titolo del primo singolo del disco, canzone leggermente più melodica e diretta del lotto, interpretata magnificamente da
Raz, un cantante dalla voce calda e graffiante che ricorda
David Draiman (DIsturbed) e che su tutto il disco riesce in modo magnifico a variare la propria performance rispetto alle emozioni che deve trasmettere. Le canzoni sono abbastanza lunghette (dai 5 agli 8 minuti) ma non c’è nessun particolare highlight da menzionare, così come non c’è nessun passo falso da evidenziare. Il livello è sempre alto, i riff sono interessanti, potenti, vari, gli assoli dosati e mai esagerati, le soluzioni intelligenti, il basso presente ma non eccessivo, così come le tastiere. Tutto è stato costruito, misurato, inserito per un motivo: creare un disco davvero intenso. Proprio la batteria, e in generare in ritmo, fanno la differenza su questo lavoro. Senza mai andare in overdrumming,
Gaspar riesce a trovare mood e soluzioni in grado di caratterizzare fortemente le canzoni. La resa sonora è moderna ma avvolgente, i suoni sono potenti ma non di plastica, hanno profondità ed i vari livelli sono molto ben bilanciati. D’altronde del mix se n’è occupato
Tue Madsen (Meshuggah, Dark Tranquillity, Moonspell, Heaven Shall Burn), non certo l’ultimo arrivato. Quello dei
Seventh Storm è un metal al passo con i tempi, senza denim and leather in primo piano e che presenta diverse commistioni che magari possono lasciare spiazzati i puristi. Gli ascoltatori un pochettino più aperti di mente che decideranno di dargli una possibilità, ascoltando magari il lavoro con calme e nella sua interezza, potranno rimanere sorpresi.
Quel vecchio lupo di mare di
Gaspar ha l’esperienza e la competenza per guidare la nave che capeggia sulla copertina del disco alla scoperta di suoni che mescolano metal anni 2000, elementi gotici e influenze più recenti, farvi vivere intense avventure e riportarvi in porto affinché possiate parlarne a lungo. Fossi in voi mi imbarcherei.