“Synth anthems set in a disco of nuclear anxiety”. Ecco le parole utilizzate dal cantante
Jon Ivar Kollbotn per descrivere il nuovo e ambizioso
“Valesa: Chapter 1 - Velvet Prison”.
Questa volta i
Major Parkinson hanno puntato davvero in alto - forse troppo, se ci si ferma a un primo, distratto, ascolto - nel costruire un lavoro unitario e frammentario allo stesso tempo (abbondano gli interludi), che suona come un moderno
“Sgt. Pepper” dal sapore apocalittico.
Radicato negli anni Ottanta, emozionante e disorientante come raramente mi è capitato di ascoltare, il full-length travolge con la sua moltitudine di sonorità che alternano atmosfere tetre e sinistre all’epicità di Bruce Springsteen (
“Behind The Next Door”, “Sadlands”), o synth pop elegante di scuola John Foxx a melodie solari che non avrebbero sfigurato in un album di Cyndi Lauper (penso a
“Saturday Night” o a
“Fantasia Me Now!”, ricca di
cliché nostalgici, dall’iconico
“shopping mall” alla citazione di
“The Neverending Story”, passando per i sintetizzatori che strizzano l’occhio a
“Radio Ga Ga”).
Ogni brano fa storia a sé, dalla poesia pianistica di
“Ride In The Whirlwind” (che sembra ispirata all’attacco di
“Firth Of Fifth” dei Genesis) alla disperazione post-punk di
“Live Forever”, dal gospel contaminato di rock di
“Jonah” all’ipnotica e concitata
“Posh-Apocalypse” (una
“Autobahn” del nuovo millennio che contrasta con la più attuale
“The House”).
La carne al fuoco è davvero tanta, una tesi confermata dalla riuscita
“Irina Margareta” (immaginate di mettere insieme una banda di paese, l’ensemble del Club Silencio di
“Mulholland Drive” e gli Alphaville) o dalla sontuosa
“The Room”, con i suoi elementi punk e nervosi ripresi anche nella successiva
“Moma”.
“Heroes” è un epilogo carico di tensione che lascia tramortiti e con il fiato sospeso, in febbrile attesa del secondo capitolo.
Un ascolto tanto impegnativo quanto gratificante, sicuramente tra gli apici di questo 2022.
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