Gli
Epitome sono in attività sin dai primi anni '90 e si rifanno vivi, dopo un silenzio discografico di ben otto anni, con questo nuovo album, scagliando e comprimendo in una mezzora ben diciassette brani. Facile intuire, anche per chi non conosce i trascorsi della formazione polacca, che si possa trattare di Grindcore, come peraltro si poteva comunque immaginare leggendo titoli come "
Infestation of a Wormic Soul", "
Die! Motherfucker! Die!" o "
Children of the Rot". Eppoi la copertina dell'album non trasmette di certo immagini bucoliche, no?
E il contenuto è sporco, brutale, morboso, allineato al pezzo di carne in putrefazione che hanno piazzato sulla copertina dell'album, e mi verrebbe da contraddire l'autorevole William Shakespeare, visto che "
non c'è del marcio solo in Danimarca", ma pure in Polonia, e gli
Epitome ce lo hanno già ricordato nei titoli dei loro precedenti quattro full length, dove ritroviamo sempre il suffisso "ROT", una tradizione cui ci attiene anche l'ultimo nato: "
ROTend". Un lavoro, dove gli
Epitome non si distaccano nemmeno dagli standard musicali perseguiti nelle precedenti uscite, un Brutal & Grind Metal ispirato da Mortician (dei quali in passato hanno inciso un paio di cover), Exhumed, Carcass, Brutal Truth, Pig Destroyer e dalla miriade di band del settore a me sconosciute, che ritroviamo anche su "
ROTend", proposto con la consueta solidità, coerenza e senza concedere requie, per quanto, all'insegna di una cronica instabilità della line-up, si debba registrare l'ingresso di un nuovo cantante,
Dyvan (con esperienze negli Underdark e nei Rotengeist).
Ecco così che l'iniziale titletrack si impenna, dopo un ingannevole avvio sabbathiano, su ritmi feroci e asfissianti, sui quali
Dyvan ringhia, con brutale ferocia e meccanica precisione. I brani partono sempre, seppur con diverse soluzioni e velocità d'esecuzione, sotto la spinta di quel mantice infernale che si rivela essere la sezione ritmica composta da
Kiszka e
Surowy (quest'ultimo uscito recentemente dalla band), e lo fanno anche nell'avvio jazzato di "
Preachers of Turmoi".
Diciassette mazzate sui denti e ai padiglioni auricolari, visto che si passa da una traccia all'altra senza soluzione di continuità e quasi senza potersene rendersene conto, sia per la marcata uniformità delle canzoni, sia perché le stesse non lasciano il tempo di rifiatare.
I patiti del genere troveranno pane (temo raffermo...) per i loro denti.
Metal.it
What else?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?