“
Reborn” rappresenta due sorprese in una … il ritorno discografico dei
Darking e il loro passaggio alla “categoria”
female-fronted band, con l’ingresso in formazione di
Silvia Bientinesi.
“Tanta roba”, direbbero i più avvezzi al gergo del terzo millennio, e devo ammettere che entrambe le situazioni erano davvero inattese, con la prima che stimola entusiasmo e la seconda che alimenta qualche minima inevitabile perplessità.
Da fedele estimatore degli
epic-doom metallers di Piombino ammetto che non è stato semplicissimo “metabolizzare” tale cambiamento e non perché lo si poteva interpretare come una sorta di adeguamento ad un
trend piuttosto diffuso.
Troppo solida la personalità dei toscani per temere snaturamenti espressivi o massificazioni e tuttavia la scelta di una voce femminile abbastanza particolare come quella di
Silvia non potrà che risultare divisiva soprattutto per chi ha apprezzato i precedenti “
Sons of steel” e “
Steal the fire”.
Il suo timbro granuloso e scabro (a quanto apprendiamo la
vocalist proviene da esperienze
hard-blues) se da un lato evita di allinearsi a quello delle sue numerose colleghe impegnate nelle varie sfumature del
doom/occult rock, dall’altro non sembra adattissimo ad assecondare le atmosfere enfatiche e arcane dei
Darking.
In realtà, dopo un primo inevitabile piccolo “sbandamento”, l’intero pacchetto espressivo funziona piuttosto bene, soprattutto quando la
Bientinesi riesce ad arrotondare talune asperità della sua ugola, pilotando con efficacia il clima evocativo e antracitico instaurato dal resto della formazione della Val di Cornia.
Ed è proprio la salvaguardia di un
songwriting avvincente e di sensibilità esecutive di livello superiore a costituire il principale motivo di compiacimento per tutti i sostenitori dei suoni epici e ossianici, dominati dalla chitarra fremente di
Agostino Carpo e dalla poderosa sezione ritmica composta da
Leonardo Freschi e
Matteo Lupi.
“
Reborn (from fire)”, “
Darking” e "
A new man” sono eccellenti prototipi di fosche e solenni invocazioni
metalliche, mentre ritengo appena meno riuscito un brano come “
The tower of Babel” leggermente dispersivo e non pienamente “a fuoco” sotto il profilo vocale.
Con “
I believe (In what I see)” e i saliscendi di “
Evil and I” il clima acquisisce ulteriore dramma melodico e degenerata inquietudine, e se “
Broken again” è ammantata da un velo di misteriosa bruma celtica, “
Time to rise” omaggia l’inesauribile fonte ispirativa garantita dalla
NWOBHM più tenebrosa, piazzando in chiusura di programma uno dei suoi momenti maggiormente suggestivi.
“
Reborn” è dunque una “rinascita”, patrocinata dalla prestigiosa
Underground Symphony, di cui essere piuttosto soddisfatti e da accogliere con interesse anche per i suoi possibili sviluppi futuri, perché incarna il desiderio di un gruppo che non si accontenta solo di dare un seguito alle cose che si sono cominciate e sembra voler veramente in qualche modo dare inizio a una nuova vita, con tutte le complicazioni che tale scelta comporta … in sintesi, bentornati
Darking.
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