Non mi è del tutto chiaro perché
“16” non sia uscito a nome
Leprous. Molti dei brani firmati dal talentuoso frontman
Einar Solberg, infatti, oltre a includere diversi “ospiti fissi” della formazione norvegese, non si discostano molto dalle ultime - e più sperimentali - composizioni della band.
Ecco allora che un riconoscibilissimo
Ihsahn caratterizza la violenta e acida
“Splitting The Soul”, l’epicità claustrofobica e cinematografica contraddistingue la lunga
titletrack (con l’immancabile violoncellista
Raphael Weinroth-Browne) e la conclusiva
“The Glass Is Empty”, il chamber pop con un pizzico di IDM decora le soffuse
“Remember Me” e
“Where All The Twigs Broke” e il falsetto del cantante impreziosisce le sfidanti
“A Beautiful Life” e
“Grotto”.
Se le orchestrazioni sono protagoniste nelle riuscite
“Blue Light” e
“Over The Top”, le vere perle del full-length rimangono la lisergica
“Metacognitive” e la sorprendente
“Home”, con una sezione di fiati campionati e un rap di Ben Levin dei
Bent Knee che rievoca
“These Black Claws” dei
VOLA.
Un buon lavoro, che a mio giudizio avrebbe potuto essere migliore proprio con il contributo musicale dei Leprous (a cominciare dal batterismo meno incisivo di
Keli Guðjónsson, che non regge il confronto con il formidabile
Baard Kolstad).
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