A vederli si può presumere di avere a che fare con un navigato gruppo di
punk n’ roll, mentre all’ascolto di “
Torch of wisdom” gli svizzeri
Craver si rivelano in realtà appartenenti a quella “armata delle tenebre” che già annovera tra i suoi fieri accoliti Ghost, Unto Others, Bloody Hammers e Year of the Goat.
Una versione un po’ “rustica” e non particolarmente “esibizionista” di quell’attitudine, potremo dire, in cui la componente
NWOBHM (oltre agli immancabili Iron Maiden, Witchfynde, Angel Witch, primi Judas Priest, …) appare piuttosto importante (anche in dosi superiori di quanto accade nel lavoro dei suddetti affiliati) nell’economia di un suono sempre piuttosto intrigante e “a fuoco” nonostante l’evidente ispirazione.
Difficile, infatti, non essere istantaneamente ammaliati da un pezzo come “
Dreams of the night”, con le sue visioni macabro / esoteriche, o non rimanere conquistati dalla melodia incalzante e caliginosa di “
Harbor Lane”, ben pilotata dalle voci stratificate e impreziosita da una fascinosa rifinitura tastieristica.
Nelle chitarre arrembanti di “
Sign of the circle” emerge in maniera palese l’ascendente del
metallo britannico
ottantiano, e se in "
Sweet flame” le suggestioni
horror-ose si dilatano in una linea vocale luciferina ed estatica, “
Lights in the shadows” e l’evocativa “
Madness” riprendono a fondere
dark e
metal in modo più “classico”, senza per questo apparire fastidiosamente didascalici.
“
Vessel of love” prosegue sostanzialmente sulla stessa falsariga mostrando un pizzico di eccessiva linearità compositiva, interrotta da uno strumentale diafano ed ipnotico di nome “
Craving” e dall’incedere sinistro e magnetico di “
Children of Aurora”, avvolto da una suggestiva aura di
heavy-psych di retaggio
seventies.
I
Craver si manifestano come debuttanti di valore, e anche se la loro affinità con i “divisivi” Ghost potrà alimentare fatali controversie (a proposito, tanto per essere chiari, nell’accesa disputa tra quelli che li apprezzano e i loro accaniti detrattori, io mi schiero decisamente con la prima fazione …), ritengo che forte del potenziale artistico già evidenziato la
band possa (e debba …) in futuro nutrire ambizioni espressive maggiormente libere ed autonome.
Piccola divagazione finale … avreste mai immaginato che i Blue Oyster Cult, per molto tempo “criminalmente” sottovalutati dalle nostre parti (e non solo …), sarebbero diventati così influenti nel
rockrama del terzo millennio? Io no, di sicuro … evidentemente non è mai troppo tardi per restituire a dei veri
Maestri quanto dovuto.
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