Un'opera non da poco quella che ci presentano gli
Everdawn, band statunitense attiva ormai quasi da un decennio prima sotto le spoglie di Midnight Eternal, band che ha vissuto il tempo di pubblicare un album omonimo, per poi cambiare monicker in quello attuale passando prima per 'Cleopatra' come debut album, diciamo, e poi con questo
'Venera' a seguirlo a ruota due anni dopo. Due anni che hanno apportato poche modifiche se non a livello di lineup, dove
Alan D'Angelo (DeadRisen) è subentrato al basso al posto di
Mike Lepond, tornato nei Symphony X per i troppi impegni. Musicalmente, parlavo poco sopra di un impresa abbastanza grande quella compiuta dal quintetto, dato che se ci si mette con dati alla mano guardando il precedente full lenght,
'Venera' va a sfiorare l'ora di durata, rischiando di camminare in equilibrio precario su quel filo dove c'è sempre il rischio di cadere nella prevedibilità, nella noia, nell'inutile allungamento delle canzoni tanto per il gusto di farlo, o comunque per ostentare una padronanza nel songwriting con molto fumo e niente, se non poco arrosto.
La verità? C'è da dire che
'Venera' è un album riuscito da un lato, mentre dall'altro probabilmente vi sono degli eccessi che avrebbero giovato di una sforbiciata qua e là, ma andiamo con ordine. Con un artwork davvero stupendo e che colpisce a primo impatto, uno dei punti forti del disco è la sua freschezza in molti pezzi e il riuscire a mischiare parti prettamente più power metal con altre progressive e neomelodiche senza però abbassare l'asticella, come accade ad esempio su
'Orion's Belt', con una parte centrale con le tastiere a giocare un ruolo protagonista e che non sono messe lì tanto per, e il discorso potrebbe essere similare anche per
'Silver Lining'. Se poi si conta che, fatta eccezione per la Titletrack, la maggior parte delle canzoni presenti si aggira fra i tre e quattro minuti, la capacità di esser riusciti a creare un senso di immediatezza riuscendo comunque a far rimanere intatto il loro trademark. Colpiscono sopratutto certi richiami "malmsteeniani" negli assoli ad opera di
Richard Fischer, vedasi la strumentale
'Crimson Dusk and Silver Dawn' o
'Cassiopeia', mentre tra i difetti che ci sono da segnalare c'è ogni tanto un calo dovuto ad alcuni momenti non particolarmente brillanti (
'The Promise' abbastanza spenta se non fosse per la voce estremamente versatile di
Alina Gavrilenko) che non buttano totalmente giù la qualità dell'album, ma certo non contribuiscono a far alzare il voto in calce.
In definita una release che, nonostante la durata possa un po' spaventare e qualche scivolone, è più che valido e merita un ascolto attento anche in vista della chiusura di questo 2023, e dove chi mastica quotidianamente sonorità del genere potrà trovare pane per i suoi denti.
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