Nella vita “reale” è abbastanza normale che dopo tanti anni di attività professionale si faccia strada un affievolimento dell’entusiasmo (per chi ha la fortuna di provarlo …) e che gli effetti deleteri della
routine finiscano per farsi sentire in maniera significativa.
Ora, anche se nel mondo dell’arte le cose sono leggermente diverse, il rischio che l’ispirazione si inaridisca è altrettanto elevato, puntando dritto sul “mestiere” e magari sulla cieca benevolenza dei propri fedeli estimatori.
Che cosa “chiedere”, dunque, al nuovo lavoro di un gruppo come i
Magnum, dopo oltre cinquant’anni di carriera, una discografia sterminata (piena di meraviglie sonore) e la comparsa degli inevitabili “acciacchi” patiti dai suoi membri storici (a questo proposito, il
tour promozionale del nuovo
album è stato purtroppo annullato a causa dei problemi di salute del chitarrista
Tony Clarkin …)?
La risposta è semplice … quello che si “pretende” dai tanti veterani del
rock, e cioè di dimostrarsi all’altezza della loro nobile “storia”, di onorare al meglio il loro impegnativo blasone, consapevoli che difficilmente, e per molte ragioni, i capolavori del passato potranno essere superati dalla nuova produzione.
E allora diciamo subito che “
Here comes the rain” si offre al vaglio dei
fans del gruppo britannico nelle migliori condizioni “estetiche” possibili, con il ritorno delle inconfondibili matite di
Rodney Matthews a sostenere adeguatamente il suggestivo e altrettanto unico stile dei nostri.
Eh già, perché il
pomp hard - rock dei
Magnum è davvero peculiare, e la conferma della loro incontrovertibile personalità è il primo degli elementi rilevabili dall’ascolto dell’albo, ancora una volta uno splendido affresco fatto di stesure melodiche solenni e arcane, marchiate a fuoco dalla voce evocativa di
Bob Catley, magicamente impassibile di fronte al trascorrere del tempo.
Il clima armonico dell’opera si mantiene sempre piuttosto melodrammatico e magniloquente, ma non mancano nemmeno i cenni d’immediatezza inseriti nella favolosa melodia di “
Run into the shadows” e nel
refrain di “
After the silence”, gli scatti
hard n’ roll di “
Blue tango” (non troppo lontani da certi Judas Priest più “commerciali”) o ancora le piccole “stranezze” concesse a “
The seventh darkness”, dove una sezione di ottoni (appannaggio degli ospiti
Chris "BeeBe" Aldridge al
sax e
Nick Dewhurst alla tromba) impreziosisce e caratterizza la vena eroica del brano.
Altrove, come anticipato, è l’enfasi fiabesca a prendere il sopravvento, circostanze in cui il cantore
Catley conquista decisamente il proscenio, evocando nella valorosa
title-track dell’albo, nella sinfonica "
Some kind of treachery”, nella mesta "
The day he died” e poi ancora nella struggente “
Broken city” (con un testo
ahinoi, molto contemporaneo …), nella barocca
“I wanna live” e nella fiera “
Borderline”, vivide proiezioni in note dell’
Antica Inghilterra, in cui convivono felicemente mito, lirismo, dramma e tensione emotiva.
In un
rockrama dove il “ricambio generazionale” appare particolarmente complicato e difficoltoso, i
Magnum rappresentano un fulgido esempio di emozionante riconoscibilità espressiva e inattaccabile integrità artistica … nel 2024, esigere qualcosa di più da loro sarebbe pretenzioso e insensato.
Quando ormai la recensione era stata stilata ed era pronta per la pubblicazione, arriva in redazione il comunicato della dipartita di
Tony Clarkin, a causa dell’aggravamento della patologia che aveva costretto i
Magnum ad annullare la loro
tournée europea. Una notizia davvero tristissima che ci priva di un musicista e autore straordinario, capace di lasciare un segno indelebile nella
Storia del
Rock … dopo una breve riflessione, ho accantonato l’idea iniziale di riscrivere la mia disamina, rischiando magari di cedere all’apologia commemorativa … e allora, aggiungo solo: ciao
Tony, buon viaggio, e grazie di tutto … non sei più con noi, ma la tua splendida musica ci accompagnerà per sempre.