Nati nel 2012 con il nome di Tsutar, i
Sonic Wolves con il loro terzo
album approdano alla
Argonauta Records, e diciamo che era difficile immaginare una migliore collocazione per la formulazione di
hard n’ psychedelic n’ stoner rock che propongono.
Una “roba” che all’ascolto si rivela piuttosto imponente e persuasiva, realizzata da musicisti che conoscono bene la materia e la trattano secondo conformazioni espressive ampiamente codificate e non per questo rigidamente schematiche.
Del resto si tratta di un sodalizio tra il batterista
Gianni “Vita” Vitarelli (ex Ufomammut e attualmente nei Rogue State) la bassista e cantante
Kayt Vigil (Pentagram e The Hounds of Hasselvander, tra gli altri, nel suo
curriculum, nonché attualmente anche lei nei Rogue State) e
Nico Nigro (ex Mortuary Drape, Eroded e oggi nei Suicide Force), ultimo entrato nella
band e responsabile degli impetuosi profluvi chitarristici che contraddistinguono il
sound di “
III”.
Tutta “gente”, insomma, con la cultura necessaria per rivolgersi chiaramente alla storia del
rock “duro”, caliginoso ed allucinogeno dei
seventies, trasponendo la lezione di Budgie, Pink Fairies, Savoy Brown e Bloodrock ai giorni nostri, un po’ alla maniera di Fu Manchu, The Atomic Bitchwax, Karma to Burn e dei migliori epigoni di quel suono tanto “giurassico” quanto coinvolgente.
Se cercate un sapido impasto di pulsioni
hard-blues, foschie soniche e ombre lisergiche, in cui ampio spazio è riservato a lunghe irradiazioni chitarristiche (sulla scia dei maestri
Hendrix,
Iommi,
Trower, …), “
III” ha tutte le caratteristiche necessarie per sobillare la vostra sensibilità uditiva.
La voce di
Kayt, grintosa e vibrante, funge da efficiente catalizzatore e quando, dopo il
riff metallico introduttivo, irrompe nell’
opener “
Shapeshifter” assecondando al meglio tutte le vorticose pulsazioni del brano, non si può che plaudere al suo istintivo e intenso approccio vocale.
La successiva “
O.B.E.” è uno strumentale alquanto articolato che, nonostante il
break dai fascinosi contorni “cosmici”, finisce per perdere un po’ la “direzione”, cosa che invece non succede alla torrenziale “
Dead to the world” e a “
Dark recollection”, con il suo
groove denso e catartico.
“
Heavy lies the crown” è un ottimo esempio di
hard/psych/blues torbido e “circolare”, mentre con “
The ten doors” il terzetto alessandrino attua una sorta di fusione al calor bianco tra Deep Purple e NY Loose, per poi rilasciare altre massicce scariche di energia valvolare tramite i sussulti
punk-eggianti di “
Won’t be their fool” e l’incedere incalzante di “
Gotta do it right”, i “titoli di coda” di una proiezione in note piena di intriganti
flashback capaci di celebrare in maniera piuttosto efficace la storia dell’
heavy-rock.
Come accade sempre di fronte a divulgatori di stili musicali rigorosi, non è semplicissimo distinguere gli emulatori dagli ispirati discepoli, ma anche senza voler tirare in ballo il misterioso concetto di “attitudine” (che qui, per la cronaca, mi pare davvero radicata e genuina) e limitandosi alla sostanza rappresentata della capacità di comporre e interpretare le canzoni, direi che i
Sonic Wolves di “
III” dimostrano che nelle loro mani queste “vecchie sonorità” hanno ancora ragione di esistere anche nel mondo affollato e confuso della musica contemporanea.