HTP - Hughes Turner Project

Copertina 6

Info

Anno di uscita:2002
Durata:61 min.
Etichetta:MTM
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. DEVIL'S ROAD
  2. YOU CAN'T STOP ROCK & ROLL
  3. MISSED YOUR NAME
  4. MYSTERY OF THE HEART
  5. SISTER MIDNIGHT
  6. BETTER MAN
  7. HEAVEN'S MISSING AN ANGEL
  8. FADE AWAY
  9. RIDE THE STORM
  10. RUN RUN RUN
  11. AGAINST THE WALL
  12. ON THE LEDGE

Line up

Non disponibile

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La (un tempo) gloriosa MTM esaudisce uno dei desideri che più a lungo ho coltivato: sentire assieme due delle più belle ugole dell’Hard Rock, Joe Lynn Turner e Glenn Hughes. In onor del vero ciò era avvenuto già sull’ottimo Nostradamus di Nikolo Kotzev (SPV, 2001), e la prova fornita dai due singer fu sensazionale, coronata dalla splendida “Chosen Man”, un brano che per intensità e interpretazione ha pochi rivali in campo rock.
Non contenti di questa prova entrambi i cantanti nel 2001 hanno rilasciato degli album solisti di tutto rispetto, con una prestazione a mio avviso leggermente superiore da parte di Turner.
Tutte premesse che lasciavano presagire un album se non splendido, almeno bello. Purtroppo questo “HTP” non è nemmeno tale, e questo connubio naufraga miseramente con un insieme di canzoni scarsamente ispirate, che definirei fin troppo accademiche. Né Hughes, né Turner azzardano nulla che vada oltre a quanto si sente ormai da anni ma, cosa ancora più grave, non riescono nemmeno ad imitare pallidamente i mostri sacri Rainbow e Deep Purple. Un album che si salva semplicemente grazie alle prove vocali dei due, che nonostante lo scomodo songwriting sfornano le solite prove eccezionali. Brani come la scoppiettante Devil’s Road, l’antemica (ma troppo lunga) Fade Away e l’energica Ride the Storm, senza il deciso apporto vocale dei due cantanti sarebbero passati assolutamente in sordina. Il resto del disco è penalizzato in primo luogo da un numero eccessivo di passaggi lenti che fanno calare il ritmo del disco, e poi da una produzione non proprio eccezionale, atta forse a conferire un suono un po’ old all’album e a valorizzare l’Hammond. Peccato che Vince Dicola sforni una prestazione tutt’altro che notevole, che tende a “irrigidire” il suono delle canzoni. L’unico strumentista che si erge sopra la media è ovviamente mister Glenn Hughes che con il suo basso incanta ancora a distanza di tantissimi anni. Un album che si regge più sulla storia dei due cantanti che non sulla qualità delle canzoni, ma la storia è talmente splendida che non posso esimermi dall’assegnare una sufficienza e consigliarvi un ascolto.
Recensione a cura di Emiliano 'Estizi' Tizi

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