1985-2025, ovvero l’inizio e la fine dei
Necrodeath.
Quarant’anni non sono affatto pochi e in questi quattro decenni la storica band ligure ne ha passate di cotte e di crude tra gioie e dolori, successi e delusioni, ma alla fine nonostante tutto si raggiungono i quarant’anni di carriera con la consapevolezza di lasciare questo panorama musicale con un bel ricordo ai propri fans, una cosa importante questa, al contrario di tante band storiche e blasonate che si trascinano stancamente, spesso e volentieri diventando la parodia di sé stesse.
Dopo il clamoroso ritorno a nome “
Mater of all Evil” (1999) a dieci anni di distanza dal secondo platter ed una solida riconferma (“
Black As Pitch”), il gruppo storico cominciò a sperimentare nuovi suoni e formule come dimostrato dal Groove novantiano di “
Ton(e)s of Hate” (2003), dalle melodie moderne di “
100% Hell”, passando per i concept oscuri di “
Draculea” e “
Phylogenesis”, per giungere infine all’album monotraccia “
Idiosyncrasy” (2011).
Dopo questa fase che per un motivo o per un altro ho sempre trovate interessante e dinamica, ecco che i
Necrodeath fecero un ritorno alle origini, ma senza dimenticare quanto fatto in precedenza e un lavoro come “
The Age Of Dead Christ” (2018) è la testimonianza di una band che non si è ancora seduta sugli allora, riuscendo a mantenere un sottile equilibrio tra passato e presente.
A due anni di distanza dal buon “
Singin' in the Pain” si torna in maniera sempre più convinta alle origini con il capitolo discografico finale.
Dopo tanto blaterare come suona questo “
Arimortis”?
Innanzitutto al bando i concept che nel nuovo millennio tanto avevano affascinato
Peso e soci, via anche le varie sperimentazioni fatte in passato e si abbraccia una scrittura diretta e concisa.
Il bello dei
Necrodeath attuali è che per quanto semplici ed essenziali suonino, riescono sempre a non dare quel triste sapore di minestrina riscaldata al tutto.
Lo stile è sempre quello solito tra riffs thrashoni a tutto spiano, tupa tupa a catinelle, atmosfere vicine al Black Metal, assoli slayerani e via discorrendo, ma quello che fa la differenza (ancora una volta) è il songwriting: tra riffs portanti riusciti, rallentamenti tattici, assoli inseriti nei punti giusti, accelerazioni brucianti o ritornelli riusciti, questo è un lavoro pieno di canzoni ben riuscite e a parte il calo che c’è nella cadenzata “
No More Regrets”, il resto viaggia su livelli mediamente alti.
Ed ecco che tra il remake di “
Necrosadist” ed il seguito della tortuosa “
Metempsychosis”, si ritorna al cappello introduttivo di questa recensione, ovvero al salutare i propri estimatori lasciando un bel ricordo, perché, checché se ne dica, “
Arimortis” è un disco degno del nome
Necrodeath stampato sulla copertina ed è questo quello che conta veramente e lo si fa con l'ennesima dimostrazione di classe, personalità e coerenza.
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