Bene cari lettori, benvenuti alla recensione del nuovo Bloodboun... no, scusate. Alla nuova fatica degli Apostol... no, neanche. Va bene ora ci sono, parlavo dei Powerw... ma non è possibile! Ecco sì, i Brothes Of Met... diamine! Chiedo perdono, ma la confusione in testa in questi casi è veramente tanta. Sì perchè parlare del debut album dei finlandesi
Dragonknight implica non solo trovarsi di nuovo all'ennesima e imperdibile pacchianata che in questi ultimi tempi sembrano andare tanto popolari, ma anche richiamare a sè molteplici band uscite con lo stampino, o che agli inizi avevano una loro personalità, ma che poi sono andate ad adeguarsi a ciò che il mercato musicale richiedeva sia nella proposta, ma anche e sopratutto all'immagine. Da questo nuovo gruppo, che fa dell'amalgama sopracitato la propria principale influenza, insieme ovviamente a Sabaton e compagnia e un utilizzo ossessivo delle tastiere da denuncia penale, le basse aspettative che già riponevo dall'ascolto dei tre singoli pubblicati in questi mesi si sono (purtroppo) confermate. Non dico questo perchè mi aspettavo già in partenza un disco insufficiente, va sempre prima dato un ascolto per poi giudicare, ma le premesse in questo caso non erano proprio delle migliori.
Con una storia di contorno che viaggia intorno ad orchi, draghi, redenzione e viaggi di un cavaliere errante, verità nascoste e chi più ne ha più ne metta, ci troviamo davanti a tutto ciò che più di prevedibile ci può essere. Fatta eccezione per la prima tracia, introdutiva e orchestrale, fino a
'Stormbringer' compresa, c'è quanto di meglio il cinematic power metal (così viene descritto) possa offrire, tra ritornelli anche funzionanti come quello di
'The Imperator' o
'Defender Of Dragons', tutto sommerso però da cori bombastici, delle tastiere che come già detto si prendono tutta la scena risultando estremamente fastidiose (sopratutto durante le strofe), vedasi
'The Revelation' o il chorus tremendo di
'Pirates, Bloody Pirates!'. C'è un piccolissimo spazio dedicato agli assoli che non è neanche male, e mostra come la band abbia appreso qualcosa dalle lezioni malmsteeniane, ma in più di 50 minuti di durata, si può reggere il tutto su forse tre o quattro minuti complessivi ben riusciti?
Qui la conclusione è estremamente facile. Vi piacciono le mode e l'apparire senza sostanza? E' il disco che fa per voi. Vi piace la musica? Passate tranquillamente oltre.
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