Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2025
Durata:71 min.
Etichetta:InsideOut Music

Tracklist

  1. IN THE ARMS OF MORPHEUS
  2. NIGHT TERROR
  3. A BROKEN MAN
  4. DEAD ASLEEP
  5. MIDNIGHT MESSIAH
  6. ARE WE DREAMING?
  7. BEND THE CLOCK
  8. THE SHADOW MAN INCIDENT

Line up

  • John Myung: bass
  • Mike Portnoy: drums
  • John Petrucci: guitars
  • James LaBrie: vocals
  • Jordan Rudess: keyboards

Voto medio utenti

“IL RE E’ TORNATO...VIVA IL RE!”

Il “Re” che, nel caso specifico, risponde al nome di Mr. Mike Portnoy, torna a sedersi sul trono della SUA band, se la riprende per DIRITTO DI NASCITA, la rivolta come un calzino e, insieme con l’amico fraterno John Petrucci alla chitarra ed il ritrovato James Labrie dietro al microfono, ci regala un album inaspettatamente bello, emozionante ed ispirato; insomma un disco che, dopo tanti anni di vacche magre, è finalmente DEGNO di portare con fierezza il glorioso monicker DREAM THEATER!

Ragazzi, quanto mi sarebbe piaciuto cominciare cosi questa recensione, e invece…temo proprio che siamo alle solite!
Per carità, Parasomnia non è brutto, a tratti è gradevole (mi sembra già di sentirvi: “non brutto, a tratti gradevole?!.. Oh ma, parliamo pur sempre dei Dream Theater!"), sostanzialmente in linea, tra alti e bassi, con quanto fatto dai Nostri nell’ultimo ventennio; un full-length povero di veri e propri picchi compositivi, con una creatività che fatica tremendamente ad emergere, anche se, ineccepibile tecnicamente.

Uscito per InsideOut Music, Parasomnia rappresenta la sedicesima fatica discografica per il Teatro del Sogno e, come tutti sanno, sancisce il tanto atteso ritorno del “figliol prodigo” Mike Portnoy dietro le pelli, dopo ben 15 anni di assenza.
Al riguardo, subito una doverosa precisazione: Mangini non ha assolutamente demeritato durante la sua lunga militanza nella band. “Mike II” ha sempre svolto più che degnamente il suo compito ma, il marchio di fabbrica del sound dreamtheateriano, si è sempre identificato con il drumming, del tutto personale, di Portnoy,dotato di maggior carisma e sentimento, tanto che, la sua assenza, soprattutto dal vivo, si è avvertita pesantemente in questo lasso temporale.
Tuttavia, come purtroppo temevo, il ritorno del “Re”, celebrato in pompa magna per parecchi mesi e sbandierato da molti come la risoluzione di tutti i problemi compositivi dei Dream Theater degli ultimi 20-25 anni (dimenticandosi, di colpo, che nei controversi Systematic Chaos o Black Clouds, alla batteria c’era proprio “King Mike”), a conti fatti, non si è rivelato cosi risolutivo come ci si auspicava.
Insomma, parliamoci chiaramente: il tocco di Portnoy fa bene al cuore, soprattutto per i “boomers” più nostalgici della prima ora (come il sottoscritto), ma non era il batterista la priorità!

Parasomnia, come il suo predecessore A View From The Top Of The World, mette in luce, una volta ancora, i pregi, ma anche i consueti limiti in fase di song-writing, di una band, tecnicamente ancora perfetta (oh ma, parliamo pur sempre dei Dream Theater!) e che, a livello strumentale, vorrebbe anche provare ad osare ma, alla lunga, si ritrova sempre prigioniera dei soliti schemi e dei medesimi clichè compositivi.
Lecito chiedersi, per quale motivo questo avvenga.
Non ho certo la presunzione di dare una risposta ad una domanda cosi complessa, o di avere la verità in tasca; posso solo dare la mia visione, al riguardo.
Innanzitutto, ovviamente, la voce di James Labrie, elemento troppo catalizzante per non condizionare l’intero quadro stilistico.
E’ fuor di dubbio che il caratteristico timbro del singer canadese ormai, non riesce più, né a graffiare, né a trasmettere il trasporto emotivo del passato, finendo per appiattire inevitabilmente le trame melodiche e limitando, di parecchio, il ventaglio delle possibili soluzioni musicali da adottare.
Tale problematica è palese (in maniera più o meno evidente) in A Broken Man, Dead Asleep o Midnight Messiah (che, nel cantato iniziale, una brutta versione di "As I Am"), brani che non convincono, fiacchi nelle linee vocali (e perfino nei refrains), risollevati, nei momenti più difficili, dalla classe indiscussa dei soliti John Petrucci e Jordan Rudess autori, come sempre, di una prova maiuscola.
Inoltre, anche in Parasomnia, i Dream Theater cadono nel solito maledetto errore dell’auto-celebrazione, allungando inopportunamente tracce che avrebbero certamente reso di più, se non fossero state cosi tremendamente prolisse. Insomma, spesso si ha la sensazione che oggi la band debba obbligatoriamente concepire delle composizioni forzatamente lunghe, ma senza una logica; in quest’ottica può essere intrepretata la “sindrome del copia-incolla” da cui i Nostri sono affetti ormai da tempo.

Comunque, Parasomnia riserva anche episodi decisamente validi (oh ma, parliamo pur sempre dei Dream Theater!), come l’affascinante intro strumentale (ripeto, STRUMENTALE: ho detto tutto!) In The Arms Of Morpheus, l’elegante Bend The Clock o l’avvincente suite finale (quasi 20 minuti di durata) The Shadow Man Incident.
Se poi, si vuole allargare il discorso, anche la stessa Night Terror, o la suddetta A Broken Man, presentano spunti degni di nota, a livello STRUMENTALE (scusate se mi ripeto, ma il contrasto con il cantato talvolta, emerge in maniera netta); ci sono degli ottimi fraseggi e dei passaggi interessanti (non fini a se stessi), tanto che, si ha la tangibile sensazione che si voglia finalmente esplorare nuovi territori eppure poi, per un motivo o per un altro, tutto svanisce in una bolla di sapone e le idee vengono soffocate sul nascere dal solito prevedibile canovaccio.

Dunque, riassumendo, se avete apprezzato i Dream Theater degli ultimi 20 anni, anche Parasomnia, che comunque è un disco oggettivamente più che sufficiente, vi farà felici.
D'altra parte però, coloro (come il sottoscritto) che si aspettano di più dal combo americano, abbracciando la teoria del “oh, parliamo pur sempre dei Dream Theater!” avranno, anche stavolta, pienamente ragione! Con un gruppo cosi, non ci si può accontentare del classico compitino! Se non altro, per una questione di rispetto, nei confronti delle emozioni che questa band ha saputo regalare, in un'epoca sempre più remota! Tuttavia, è ormai giunto il momento di guardare in faccia la realtà: inutile pretendere troppo e rimpiangere un passato che non tornerà più; oggi i Dream Theater sono questi…prendere o lasciare!




Recensione a cura di Ettore Familiari

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 10 feb 2025 alle 02:11

6,5 perché con la suite finale la band si difende. La maggior parte dei brani purtroppo non decolla mai. L'intro svolge bene il suo compito con un'atmosfera che ricorda i Symphony X, è il seguito che però manca... Night Terror musicalmente parte decisa e i cambi di tempo intrigano pure, ma verso i 6 minuti ha già detto tutto, andava conclusa lì secondo me. Le due successive sono proprio inspiegabili, salvo solo la sezione chitarristica insolita in A Broken Man, per il resto brani statici, appesantiti e per nulla esaltanti. Da 5. Midnight Messiah copia di As I Am ma almeno ha il pregio di avere ritmo per tutta la durata (e ci credo, copiando pari pari una bomba come As I Am le sezioni da riproporre sono quelle). Bend the Clock per molti è un capolavoro, per me una innocua ballad standard con un bellissimo assolo, che non vale una Beneath the Surface, figuriamoci The Spirit Carries on Space Dye Vest. Arrivati all'epilogo, devo dire che The Shadow Man Incident è strana da decifrare, a partire dal titolo poco pomposo che invece solitamente dedicano alle loro suites: i primi 5 minuti strumentali sembrano un medley piu che un'intro vera e propria, comunque niente male il riff teatrale/da circo degli orrori che apre il brano. Il cantato non lo trovo esaltante e l'apertura nel ritornello, che mi ricorda le atmosfere "benigne" di The Astonishing, stona un po' con il setting gotico/inquietante del brano. Dai 10 minuti in poi comunque la band fa sul serio. Peccato perché l'assolo conclusivo non è in grado da fare da sigillo sull'album, come avvenuto in passato con gli assoli in Octavarium e The Country of Tuscany. Comunque il brano è il migliore dell'album. Tutto sommato ennesimo disco di mestiere, se i Dream Theater con Mike Portnoy nel 2025 devono essere questi, boh, non saprei, sembrano sempre loro con Mangini; a parte le citazioni dirette a brani di almeno 20 anni fa, questo album non lo trovo molto diverso dal precedente come sonorità. A livello di suono si sono standardizzati e bisogna prenderla così; se ci va bene continuiamo ad ascoltare i lavori recenti e quelli che verranno, se ci hanno stufato li abbandoniamo.

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