“Lifeblood” è un disco molto diverso da
“Worlds Within” per attitudine e qualità delle composizioni. Pur rimanendo destinato a una nicchia di ascoltatori temerari che non hanno paura di confrontarsi con un’oretta di musica strumentale per violoncello solo e “tante altre cose”, il nuovo parto del musicista canadese ha dalla sua una scrittura indubbiamente più organica e a fuoco.
Le influenze hard & heavy sono evidenti già nell’introduttiva titletrack, che fa il paio con l’ottima
“Ophidian”, che non avrebbe sfigurato in un album degli Apocalyptica. Se
“Possession” e
“The Glimmering” sono i brani più cinematografici del lotto,
“Pyre” è sicuramente il più austero, e controbilancia la lunga e più propriamente sinfonica
“Labyrinthine”. Anche
“Nethereal” non scherza con il suo incedere ipnotico ed etereo, così come la successiva
“Winterlight”, ambient nel senso più nobile del termine.
Per chi scrive, l’erede naturale di
“World Of Echo” di Arthur Russell.
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