Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2002
Durata:39 min.
Etichetta:Century Media
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. INTRO
  2. VISION
  3. KEEP IT TO MYSELF
  4. SERVANT
  5. REFORM REASON
  6. BRANDED
  7. DEAD ALONE
  8. THE DEVOUT
  9. SEVER ALL TIES
  10. PHASED
  11. GOD OF DISGRACE
  12. COLOR RETURNS
  13. S.Y.D.

Line up

Non disponibile

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New York City non è certo famosa per aver sfornato band heavy metal di ottimo livello, anche se spesso, come nel caso degli Scar Culture, si può tranquillamente affermare che ha contribuito alla mescolanza di culture ed influenze musicali diverse. Prendiamo ad esempio un mediocre death metal e fondiamolo con un accattivante hardcore newyorkese ed un violento grindcore, ed ecco che inizia a delinearsi lo stile della suddetta band. Un background culturale variegato (russo, indiano e americano) contribuisce ad amalgamare ancor meglio il tutto. Detto questo sembrerebbe quasi che la proposta degli Scar Culture sia decisamente originale; ed invece no. Sì, le varie influenze si sentono davvero, ma alla fin fine quello che ne risulta è la solita moderna accozzaglia statunitense tra metal e non si sa bene cosa. Con questo non voglio assolutamente dire che ci troviamo davanti un prodotto scadente, ma solo che questo “Inscribe” non cambierà di certo la vita a nessuno, né tanto meno apporterà un qualcosa in più alla scena metal mondiale. Bisogna però ammettere che il disco è suonato molto bene: il bagaglio tecnico dei singoli elementi è molto buono, in particolare si evidenzia l’ottima prestazione dell’accoppiata Frank Cannino e Duke Borisov, rispettivamente al basso e alla batteria. Anche la produzione è eseguita con una perizia non indifferente, indovinate da chi? Ma da quel marpione di Billy Milano, che domande!!, che nel proprio studio ha già accolto, oltre agli SC bands del calibro di Agnostic Front, Vision Of Disorder, Voivod, Sick Of It All e gli stessi S.O.D.
Un a voce ricca di riverbero introduce la violentissima opener “Vision”, con il suo incedere compatto e massiccio, ed un drumming da schiacciasassi. E’ davvero impressionante la velocità e la perizia con cui Duke Borisov riesce a padroneggiare la doppia cassa. La successiva “Keep It To Myself” prosegue sullo stesso stile, mettendo in evidenza le buone qualità vocali del singer e leader del gruppo Pheroze Karai. “Dead Alone” è, invece, riconducibile ad un background thrasheggiante, purtroppo infarcita da armonici artificiali usati a sproposito. Ultima da citare è la brutale “The Devout” dove le influenze hardcore vengono spodestate da brutalismi degni dei migliori Cannibal Corpse.
Insomma, un album registrato e prodotto in modo impeccabile che però non dice nulla di nuovo. Un ascolto è consigliato solo agli amanti del genere.
Recensione a cura di Luca 'Lukus' Minieri

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