Non ho questa presunzione, ma se qualcuno segue Metal.It (oggi EUTK.net) ed in particolar modo le recensioni del sottoscritto, saprà che nel 2002 ho votato come top album, tra risonanti nomi di gruppi famosissimi, il favoloso “Everblack” dei danesi Mercenari, gruppo partito come classica band death metal e giunta al secondo episodio ad un intricato mix di death, progressive, thrash, il tutto condito in chiave melodica ma aggressiva e sinistra, che ha saputo dar luogo a mio avviso ad un vero capolavoro.
Capolavoro sì, tant’evvero che la celeberrima Century Media si è accaparrata i diritti, mettendo subito sotto contratto i Mercenary e pubblicando il terzo disco, intitolato “11 Dreams”. Un titolo enigmatico, almeno quanto questo controverso disco che, diciamolo subito, non bissa il capolavoro precedente, probabilmente a causa di quell’inevitabile sentimento che scatta nel cuore di un gruppo quando comincia a sentirsi bravo davvero.
Ed allora ecco scattare quella voglia di strafare, di strabiliare l’ascoltatore, di fare gli innovativi per forza, dimenticando che tutto questo prima lo si faceva con naturalezza, sostituendola con una artificiosità davvero dannosa per un’arte così spontanea come la musica.
Per fortuna tutto questo è avvenuto (per il momento…) in maniera ancora molto lieve, ma i Mercenary, pur sfornando un bel disco, non sono riusciti a ripetersi, facendosi sfuggire la possibilità di farsi lanciare da una label molto più potente della Hammerheart, loro vecchia etichetta.
Dopo una inutile quanto brutta – ma breve – intro, apre il disco una buona “World Hate Center” che stranamente non presenta uno dei punti di forza del gruppo, ovvero l’uso alternato della doppia voce maschile, una in clean e l’altra in scream/growling vocals. Tuttavia l’inizio è convincente ed il riff nel quale si incarna il pezzo è di quelli vincenti, e nel chorus la voce pulita esordisce davvero alla grande, complice anche una produzione davvero favolosa nuovamente ad opera di Jacob Hansen, già vincente sul predecessore. La successiva title track si ammanta di eteree tastiere e richiama davvero da vicino i brani presenti su “Everblack”, riprendendone l’incedere ed il songwriting, e sfociando in un chorus melodico e catchy che finora ha fatto le fortune del combo danese.
La parte centrale dell’album prosegue su queste coordinate, come la tripletta “reDestructDead”, “Firesoul”, a dire la verità un po’ prolissa ma molto epica, che si fa apprezzare per gli ottimi assoli e la voce al limite del black metal, e “Sharpen the Edges”, caratterizzata da aperture acustiche, che non mutano quelle che sono le caratteristiche principali del gruppo, pur non replicandole ad altezze così vertiginose.
“Supremacy2.0” insieme a “Falling” e la cover di “Music Non Stop” sono sicuramente tra gli episodi più bassi e meno convincenti della carriera dei Mercenary, che seppur ascoltabili ed in alcuni punti decisamente gradevoli non apportano nulla di particolarmente significativo al sound proposto, che invece nel finale si risolleva e non poco con la bellissima ballad “Times Without Change” che sfuma e ci introduce nella conclusiva, entusiasmante, “Loneliness”, praticamente un cavallo di battaglia della band che si trova a suo perfetto agio quando deve esprimere sensazioni di rabbia repressa e di risentimento, sensazioni ulteriormente accresciute se si leggono i testi durante l'ascolto, emozioni negative che suscitano desiderio di rivalsa e di vendetta, insomma di sicuro un brano che non scorre via indisturbato durante l'ascolto ma che appassiona e coinvolge, lasciando ogni volta un qualcosa dentro. Questo quanto dissi in occasione di “Everblack”, questo quanto ripeto in occasione di “11 Dreams”, qualche gradino sotto ma sicuramente un disco notevole.
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