Copertina 4

Info

Anno di uscita:2004
Durata:69 min.
Etichetta:SPV
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. DON’T SAY GOODBYE
  2. FOREVER ANGEL (ACOUSTIC)
  3. THE TEMPLE OF THE KING
  4. HEARTBREAKER
  5. THE LINE
  6. SEA OF EVIL
  7. THE CURSE OF THE CHAINS
  8. ALL THE REST OF MY LIFE
  9. FOREVER ANGEL
  10. THE TEMPLE OF THE HOLY
  11. UNDER THE GUN

Line up

  • Axel Rudi Pell: guitars
  • Johnny Gioeli: vocals
  • Mike Terrana: drums
  • Ferdy Doernberg: keyboards
  • Volker Krawczak: bass

Voto medio utenti

Axel Rudi Pell, al secolo noto come un chitarrista che seppur "scarso" tecnicamente è riuscito a farsi largo tra legioni di guitar hero grazie ad un discreto gusto ed una sana riverenza per Sua Maestà Ritchie Blackmore, ci delizia con la terza raccolta di ballads della sua lunga carriera. Il teutonico in numerosi (ma neanche troppi) anni ci ha regalato 10 album in studio, le 3 raccolte di ballad di cui sopra, 2 dischi dal vivo e un best of, per un totale di 16 release che forse è un tantino eccessivo, anche alla luce di un songwriting che non brilla per varietà. Soprattutto non si capisce il senso di un disco come questo, composto da 11 ballads (ma va?), tratte dagli ultimi tre dischi, tutte piuttosto simili per un totale di 69 minuti, che alla lunga sono un "attimo" pesanti. Intendiamoci, si tratta di belle canzoni impreziosite dalla voce superlativa di Johnny Gioeli, uno dei migliori performer di metal melodico; però la somiglianza tra i brani e la ripetitività di alcuni di questi rendono il disco valeriana style. Tantopiù che viene proposta la cover di "The Temple of the king" di un certo Blackmore, peccato che "The Temple of the holy" fosse già una "citazione" della canzone dei Rainbow per cui si assiste a due brani di 7 minuti quasi identici, cosa che invece avviene proprio con "Forever Angel" proposta in versione acustica e in versione originale. L'unica novità è rappresentata dall'inedità "Don't say goodbye" di cui non c'è altro da dire se non che è la classica ballad di Pell, ma almeno conquista la palma di canzone più corta del disco (a parte il breve intermezzo "The Curse of the Chains", e la già citata versione acustica di "Forever Angel") che è tutto dire dato che dura quasi sei minuti.
La noia assale l'ascoltatore, ma se siamo arrivati alla terza raccolta di ballad qualcuno le prime due le deve aver comprate. Io continuo di gran lunga a preferire gli album in studio.
Recensione a cura di Emiliano 'Estizi' Tizi

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