Nati nel '98 come side-project band di membri di Bloodthorn, Atrox e Dark Ages, i norvegesi Griffin, oramai band a tutti gli effetti, tornano sulle scene col loro secondo album, per la francese Season Of Mist, The Sideshow.
Non si lascino trarre in inganno i più scettici dalla patria di provenienza di questa band; sì perché questa volta non abbiamo a che fare con l'ennesima black metal band dipinta o tanto meno con un gruppo di bravi ragazzi mal celati che si divertono a fare le rock star suonando pop. I Griffin sono una heavy metal band senza compromessi in grado di dare vita ad un album assolutamente da non perdere per ogni buon metalhead degno di tal nome.
I 10 brani in questione suonano dannatamente heavy metal e basta, senza andare a pescare da altri generi più o meno vicini o inserendo trovate di dubbio gusto per mascherare una carenza compositiva di fondo; ai nostri 5 vichinghi bastano delle chitarre aggressive ma al tempo stesso melodiche al punto giusto, una sezione ritmica precisa e multi forme e una voce potente e incisiva, a tratti thrash, se si vuole.
Ogni singolo brano da sfoggio di una notevole creatività e di un ottimo songwriting, intricato e complesso ma sempre accessibile e immediato in grado di rendere piacevole e interessante (nonché entusiasmante) l'ascolto di ogni singolo minuto dei 45 che compongono l'album. Si comincia con una coinvolgente intro in crescendo che indirizza le orecchie dell'ascoltatore sulla giusta strada lungo la quale si svilupperà The Sideshow, cominciando dall'iniziale "Shadows of Deception". Un accattivante riff di chitarra che sembra uscito da Raising Fear degli Armored Saint è alla base della song, tra le più riuscite per immediatezza e orecchiabilità, così come la successiva "Horrific", più di maideniana memoria.
Da refrain stra cantabili e linee di chitarra di facile memorizzazione si passa a episodi più oscuri, più tipicamente "nordici", come in "What if", in special modo per le armonie di chitarra, vicini se si vuole alla scena swedish e a tutto quanto di melodico può esserci in un certo death metal. Questo solo per inquadrare il sound di una band comunque originalissima e capace di muoversi con disinvoltura su diversi territori musicali anche all'interno di uno stesso brano, come in "Vengeance is mine", senza mai perdere di continuità e soprattutto, quasi un controsenso, risultando sempre personale.
Una certa venatura oscura pervade l'intero album, soprattutto nei riff portanti e nelle ritmiche serrate, spezzata soltanto dai più solari ritornelli interpretati alla grande dall'ottimo Tommy Sebastian e dalle riuscitissime lead di chitarra. Sorprende ogni tanto la presenza di inopportune parti di tastiera, poco gradite più che altro per la loro dubbia utilità all'interno di brani già ricchi di contenuti e pienamente soddisfacenti; particolare del tutto trascurabile se raffrontato col livello standard dell'album, decisamente sopra la media.
"Cosmic Revelation" incarna pienamente tutto quanto detto finora a emblema del sound dei Griffin, risolvendosi in una coinvolgente semi-ballad, eclettica e variegata come degna conclusione di un grande album.
Da segnalare in conclusione le due fantastiche strumentali "The last ray of a dying sun" e "A distant shore", dalle tinte drammatiche e introspettive a spezzare sapientemente l'evolversi di un disco da ascoltare tutto d'un fiato!
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