Copertina 9

Info

Anno di uscita:2002
Durata:42 min.
Etichetta:Massacre
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. VIRTUAL BRUTALITY
  2. PLAYING GOD
  3. HE WHO NEVER LIVED
  4. FACE OF MY ENEMY
  5. NOT WHAT YOU THINK
  6. NATURAL HIGH
  7. WHO'S GONNA CHANGE
  8. WORTHLESS
  9. ONE WAY TO ROCK
  10. ENTER FOREVERMORE

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Capolavoro. Se spesso in ambito musicale si è abusato (e si continua a fare) di questa impegnativa definizione, attribuita con leggerezza anche a dischi dei quali ci si dimentica in fretta, in questo caso nessun altro termine potrebbe essere più appropriato per etichettare il nuovo lavoro dei Pretty Maids. Quindicesimo album in 20 anni di carriera, Planet Panic conferma nuovamente la band danese come uno dei capisaldi di tutto l'hard'n'heavy melodico europeo e non solo, mostrando una maturità e una grandezza musicale degna solo delle più grandi band della storia.

Certo dal lontano 1983, anno in cui le "belle fanciulle" intrapresero la difficile strada verso il successo con l'omonimo mini LP, ad oggi, i 4 danesi hanno avuto modo di consacrare il proprio nome nella storia del metal, come testimoniano i milioni di copie venduto negli Ottanta da dischi come Red, Hot and Heavy e il grandioso Future World, e i più che validi Spooked o Scream nei Novanta.
Senza aver mai abbandonato sostanzialmente la propria identità musicale per strade più facili e commerciali (anche se alcuni degli ultimi lavori sono stati definiti più volte "pop oriented"), i Pretty Maids sopravvivano ad un altro cambio generazionale e arrivano alle porte della nuova decade forti di un vena creativa e di un feeling tali da dar vita ad una delle migliori (finora) release dell'anno.

A partire dall'opener "Virtual Brutality" si ha subito la consapevolezza di trovarsi davanti ad uno di quei dischi che lasciano il segno e che difficilmente verranno accantonati per lasciare spazio a qualcosa di migliore: in primo piano la voce dello straordinario Ronnie Atkins e l'eccellente guitar work di Ken Hammer, dal riffing roccioso e passionale accompagnato da un ottimo gusto melodico e originale in fase solistica.

La produzione è di quelle da brivido, dove ogni singolo strumento trova il giusto spazio e la propria dimensione senza sacrificare nessuna delle proprie fondamentali componenti. Sempre nell'iniziale "Virtual Brutality" troviamo poi alcune gradite innovazioni, come le psichedeliche parti di tastiera o il sapiente uso di effetti sulla voce, a voler rendere ancora più evocativo e "virtuale" il cantato dell'ottimo Ronnie (qui alle prese con le drammatiche tematiche dell'11 settembre).
La successiva "Playing God" è un sostenuto up tempo dalle orecchiabili melodie che mostrano il lato più prettamente heavy della band, così come "He who Never lived" rappresenta invece quello più rock, caratterizzato da un riff semplice ed efficace al quale fa seguito un ritornello più oscuro e drammatico, reso alla perfezione dall'ottimo uso di cori e accompagnamenti di tastiere che a più riprese compaiono in tutto l'album.

Quasi prog invece un brano come "Face of My Enemy", nel quale è comunque sempre la melodia a farla da padrona e a regalare le emozioni più forti, così nel cantato come nelle parti strumentali, e il solo di questo brano ne è un perfetto esempio. Ogni singola nota, ogni minimo arrangiamento, tutto quanto da l'impressione di non poter stare diversamente da come effettivamente è, a confermare sempre più l'idea di trovarsi davanti ad un disco praticamente perfetto.

Planet Panic riveste nuovamente le tinte più hard rock in "Not what You Think", dove tastiere e orchestrazioni (mai in eccesso) caratterizzano un sound sostenuto nel quale trova il giusto spazio anche il basso di Kenn Jackson a dare il giusto tiro alla riuscita composizione. Dopo 5 brani dalla media mostruosamente elevata ci si trova davanti ad un gioiello come "Natural High", capace di lasciare senza fiato: ballad dal sapore nostalgico e di ottantiana memoria, il brano in questione è in grado di rapire l'ascoltatore per condurlo in un piacevolissimo viaggio nella propria fantasia a cavallo di quelle forti emozioni che solo i grandi classici sanno regalare.
"Who's Gonna Change" ci coglie ancora persi nei propri sogni dai quali veniamo violentemente strappati dall'intro di batteria e dal riff veloce e aggressivo che apre il brano, di impostazione marcatamente heavy, mentre "Worthless" sembra voler fare un passo indietro verso lidi meno canonici, mostrando una forte personalità e originalità, a tratti sperimentale. Chiude in fine la seconda ballad del lotto, "Enter Forevermore", introdotta da un gustoso arpeggio acustico che va risolvendosi in un continuo crescendo nel quale ogni strumento vuole contribuire a concludere un album decisamente superlativo.

Un indescrivibile senso di appagamento si impadronisce dell'ascoltatore al termine di Planet Panic, tale da spingere ad un immediato nuovo ascolto di tutto l'album; a questo punto, non tiratevi indietro e fidatevi del vostro istinto, il risultato è garantito.
Recensione a cura di Marco 'Mark' Negonda

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