I Setwall picchiano sodo, ma sanno anche trasfigurare il loro suono rendendolo melodico ed ipnotico, suonano (nu)metal-core emo-zionale, dichiarando di essere influenzati da Deftones, Tool, Dredg e Mudvayne, ma ascoltando questo “Up to the unseen” (che segue il demo “State Of mind” del 2001 e l’Ep “Emotion’s evolution” del 2003), si possono tirare in ballo anche bands come Earthtone 9, Poison The Well, il “tiro” rabbioso dei Pantera e parecchi altri nomi di una scena diventata velocemente piuttosto “congestionata”.
A dire la verità, il gruppo di Ferrara mi sembra che ci provi davvero ad evitare d’essere troppo convenzionale e già il fatto di citare i favolosi Dredg (il loro ritorno pare imminente) tra le proprie fonti ispirative è di per sé un elemento degno di menzione e che devo ammettere ha alimentato la mia curiosità in modo alquanto significativo.
In effetti, qualcosa delle atmosfere complesse ed oniriche del gruppo che con “El cielo” monopolizzò gli ascolti di molti degli appassionati di musica rock non ordinaria, affiorano vagamente nelle melodie e nelle soluzioni più meditate e “sperimentali” di questo dischetto, ma in modo ancora maggiore è necessario citare le strutture riconducibili alla psichedelia mantrica ed inquietante care agli altrettanto incredibili Tool, per descrivere in modo appropriato le porzioni intimiste del sound dei Setwall.
Il problema è che il pur volenteroso Pio non è né Gavin Hayes, né Maynard James Keenan (è anche vero che si è scelto dei modelli difficilmente eguagliabili) e che nonostante una prova globalmente discreta (buona la prestazione nello screaming), non riesce sempre a conferire quel quid di personalità necessario ad evitare l’omologazione, così come lo stesso songwriting degli emiliani, nonostante le intenzioni, non è sempre in grado di distinguersi efficacemente e di mantenere un livello qualitativo costante nell’arco della durata di un disco che appare fin troppo tetragono ed eccessivamente uniforme.
Solo in brani come “Reborn”, “Sweet Oblivion” e “Psycho circus”, dove appare addirittura un breve guitar solo, i nostri centrano in maggior misura l’obiettivo, mentre altrove buone sensazioni si alternano ad altre più modeste e nonostante sia rilevabile una costante abilità nella costruzione del groove trascinante, i brani appaiono leggermente anonimi, senza lasciare molte tracce del loro passaggio nella memoria dell’ascoltatore.
Plauso necessario, in ogni caso, alla Vacation House, una di quelle realtà discografiche italiane che da anni svolge un’incessante attività di valorizzazione della scena “sotterranea”, sviluppata con attenzione e competenza e che anche con questi Setwall mi sembra dimostri una discreta perspicacia, giacché ho l’impressione che il quartetto in questione potrà riservare future piacevoli sorprese, aumentando la fluidità in sede di composizione ed ampliando le capacità evidenziate nelle loro tracce più riuscite a tutta la durata di un full-length.
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