Miracolo. A quanto pare stavolta la storia non segue il suo preordinato percorso. Vale a dire, una band messa su quasi esclusivamente per alzare qualche (migliaia di) euro dopo un debut album vomitevole, riesce a tornare sul mercato a distanza di cinque anni con qualcosa di degno, un disco che ha qualcosa da dire e pur non essendo un capolavoro si lascia ascoltare in maniera molto scorrevole, lasciando sensazioni positive nelle orecchie e nella mente dell’ascoltatore. Probabilmente quindi Schaffer e Kursch, dopo le delusioni di vendita dell’osceno debutto, hanno trovato il tempo di comporre qualcosa di decente tra un impegno e l’altro di Blind Guardian ed Iced Earth, ed ecco così la nascita di questo “Touched by the Crimson King”, un disco altalenante, non per la qualità, alta e costante per tutta la sua durata, quanto per la musica proposta, a volte composta da un metal tirato e diretto (quasi sorprendente), a volte decisamente sorretto da atmosferiche ambientazioni, a tratti crepuscolari, che donano un po’ di lugubre luce all’album, per questo ancora più interessante. L’opener “Crimson King” ci lancia in un turbine di riffs, come sempre coniati a perfezione da John “Mr. Rhythm” Schaffer e ci consegna quello che un po’ tutti sognamo, un Hansi Kursch con una voce graffiante e potente, voce che dal vivo non ascolto più dal tour di “Imaginations from the Other Side”, quindi molti anni or sono. Anche i brani più ordinari e “banali” come la successiva “Beneath These Waves” alla fine si lascia apprezzare per la sua semplicita, un mid-tempos ben congegnato, con ottime melodie, assoli e linee vocali di sicuro valore e nettamente sopra la media. Ben altra storia per i brani più azzeccati del lotto, come la seguente “Terror Train”, una sfuriata mica da ridere, in cui i nostri “eroi” sembrano entrambi tornati indietro di 15 anni, quando ancora mettevano ferocia nei loro rispettivi gruppi; non mancano gli episodi semi-acustici, anch’essi ben realizzati ed indubbiamente valorizzati da una voce in studio di Kursch davvero affascinante, ma penalizzati da un’eccessiva durata che alla lunga porta il ditino ad appoggiarsi leggermente sul tasto “skip” del lettore. In definitiva un disco che finalmente attribuisce un senso all’esistenza di questo gruppo (ad eccezione della penosa cover di "Immigrant Song" dei Led Zeppelin, evitabile sia per scelta che per esecuzione), sicuramente non un must ma comunque consigliabile, evidentemente ai fans dei due personaggi che animano il progetto. Arrivederci nel 2010, quando avrete ancora più tempo per comporre qualcosa, speriamo ancora più convincente.
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