Continua la marcia tritasassi dei
Paragon, che rispetto a "Revenge" hanno cambiato l'intera sezione ritmica ma non il passo tipicamente Heavy Metal che li contraddistingue sin dagli esordi, che da "The Dark Legacy" in avanti si è fatto sempre più vicino al Metal di stampo teutonico. Non deve così stupire che "Hammer of the Gods" ricordi non poco i Grave Digger, mentre il versante Power Speed Made in USA è tributato pure dalla conclusiva "Deny the Cross", cover degli Overkill, ben suonata e con la giusta ferocia, anche se ad Andreas Babuschkin manca l'istinto omicida di Blitz Ellsworth.
Ad ogni modo il cantante dei Paragon non le manda certo a dire, e mostra subito i denti nell'opener "Hammer of the Gods", dove le ritmiche pressanti cozzano con i cori powereggianti e le aperture di chitarre, a rappresentare le due anime che sembrano ispirare i Paragon, ma che purtroppo non sempre filano via a dovere e che spesso li mettono a disagio. Questo vale anche per la seguente "Arise", canzone sicuramente più cattiva della precedente ma dove "inciampano" malamente sia sugli Stop and Go sia nel refrain, un ambito, questo, dove i Paragon mostrano maggiori difficoltà rispetto al passato. Decisamente meglio il mid-tempo acceptiano "Face Of Death" che ha dalla sua il buon lavoro dei due chitarristi, Martin Christian (sempre più leader della band) e Günny Kruse, che si confermano pure nel corso di "Forgotten Prophecies" o della veloce ed acceptiana "Gangland", ma anche sul finale di "Agony", una power ballad come ne hanno fatte un sacco (e meglio...) i Grave Digger, rinforzati da un tocco di Thrash ottantiano tra Metal Church ed Overkill.
Dopo l'exploit dell'album precedente, che a mio parere resta quello più riuscito di questa rocciosa formazione tedesca, ora assistiamo ad un piccolo passo indietro.
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