Dopo dieci anni e tre demo arrivano al contratto discografico anche i Subcyde. La prima cosa che mi ha colpito ascoltando questo omonimo debutto è che pur venendo dalla Svezia al suo interno non ci sono, per fortuna, le classiche sonorità death/thrash che da tanto tempo ormai stanno assolutamente saturando il mercato discografico.
La seconda cosa è meno piacevole, e cioè che i nostri viaggiano molto a stretto contatto con il metalcore, quindi non vi sarà difficile individuare, durante l’ascolto, influenze più o meno marcate di Hatebreed o Hatesphere.
Per fortuna, però, la loro proposta musicale è anche fortemente ancorata a quello che generalmente viene definito post thrash, quindi dosi massicce di Sepultura, qualcosina dei Pantera e parecchio dei Machine Head, il che rende il tutto assolutamente più appetibile di un normale cd di metalcore. I quattro svedesi pur non riuscendo a partorire nulla di originale (ma chi ci riesce davvero oggi come oggi?) hanno dimostrato di aver appreso bene la lezione dei grandi che ho appena nominato, e di essere riusciti a mescolare il tutto per benino, mettendo su una manciata di canzoni abbastanza accattivanti da riuscire a farti arrivare alla fine del cd senza eccessiva noia.
Certo la proposta non è molto diversificata, quindi qualche colpo di sonno comunque viene, però nel complesso “Subcyde” si fa ascoltare con piacere, grazie anche, e soprattutto, all’alternanza di parti più cadenzate e sfuriate al limite dell’hardcore più moderno. Molto buone anche le aperture melodiche che di tanto in tanto spuntano fuori, soprattutto grazie agli assoli di chitarra, sempre di gusto dal punto di vista armonico.
La produzione anche fa la sua parte, visto che il sound del cd è molto compatto ma anche nitido, con dei chitarroni corposi che richiamano alla mente le sonorità tipiche di Robb Flynn, mentre per quanto riguarda la voce il discorso è un po’ più complicato. Diciamo che Antonio Da Silva (di chiari origini latine) alterna parti più scontatamente metalcore a parti che possono richiamare il Max Cavalera più infuriato e a volte anche il vecchio capo Chuck Billy, infatti anche quella dei Testament anche è una presenza che spesso è volentieri viene fuori, ovviamente mi riferisco al periodo “The gathering” della band…
Certo, se uno si limita a leggere questa recensione dando peso solo ai nomi che ho citato potrebbe farsi un’idea errata del lavoro svolto dai Subcyde, bollandoli semplicemente come derivativi. Io invece non sto parlando di plagi, ma semplicemente di influenze che più o meno marcatamente spuntano fuori, e ditemi voi al giorno d’oggi a quale band non succede una cosa del genere, soprattutto con il disco di debutto.
Vale la pena quindi dare una chance al gruppo, che in tutta onestà non è affatto peggio di tanti nomi più blasonati dell’attuale scena “moderna” e che riesce comunque a piazzare 3-4 brani niente male, che ti prendono già dal primo ascolto, come per esempio la opener “Knives in the dark”, “Power smash” o la più articolata “A sea of serpents”, brani che più di altri riescono a racchiudere al meglio le caratteristiche di cui vi ho parlato prima, alle quali aggiungerei anche una spruzzatina di brutal death che ogni tanto fa capolino.
Non aspettatevi il cd dell’anno dai Subcyde, ma un onesto debutto, magari poco originale, ma di sicuro effetto.
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