Il 1991 è un anno leggendario per il death metal e a renderlo tale c’è anche il debutto dei
Malevolent Creation, il presente “
The Ten Commandments”, vera pietra miliare del genere, sebbene portatore di un sound che non si è ancora completamente distaccato dal thrash metal, conservandone i riff e talune strutture, ma lasciando comunque trasparire quella aggressività, quei patterns ritmici, quelle tematiche che diventeranno il trademark del genere.
La band bazzica l’underground americano sin dalla sua fondazione nel 1987 a Buffalo, nello stato di New York, ma è solo con il trasferimento in Florida che ottiene un contratto con la Roadrunner Records che apre le porte dei leggendari Morrisound Studios e del produttore
Scott Burns.
Alfieri dei
Malevolent Creation sono il cantante
Brett Hoffman, dalla testa calda, dalla ugola sgraziata e dal cantato in screaming che non è ancora evoluto in growling, e il chitarrista
Phil Fasciana, sui cui riff sono costruite una manciata di canzoni ormai divenute leggendarie. Poche bands al mondo possono vantare un accoppiata come “
Remnants Of Withered Decay” e “
Multiple Stab Wounds”, canzoni aggressive, dinamiche, sorrette da un ritmica solida dai tratti inarrestabili, con un lavoro chitarristico capace di dispiegare soluzione varie e creative, e di far male con riff taglienti e incisivi.
Il disco fila via liscio che è un piacere, senza praticamente alcun momento di stanca, con una durata giusta e pur capace di mettere alla prova l’ascoltatore che arriva alla fine stanco ma felice.
E la fine è fatta di un’altra accoppiata fenomenale. Si parte con “
Injected Sufferage”, che si apre con una tempesta di note di basso ribollenti, ad opera dell’eccellente
Jason Blachowicz, e introduce ad una serie di cambi di riff e di accelerazioni/decelerazioni che hanno l’effetto di un tornando sull’ascoltatore, e si finisce, letteralmente con la title-track che sin dai primi secondi lascia trasparire le propria malevola intenzione di non fare prigionieri, con una batteria a mitraglia che conduce a un riff cattivissimo che a sua volta pompa l’ugola vetriolica di
Brett Hoffman. La canzone è fatta di stacchi violentissimi di ritmica pesante come un pilastro di cemento, solo in parte scalfita dall’assolo al fulmicotone di
Fasciana.
Il finale è leggendario con l’epitaffio:
“No one can destroy this malevolent creation”
“
The Ten Commandments” appartiene ad un’epoca mitica del death metal, un’epoca nella quale si faceva la storia del genere e nella storia del death metal poche bands possono vantare un debutto simile frutto di una così forte personalità e che, pur con alcuni difetti, ha influenzato centinaia di bands. Menzione di merito per la copertina di
Dan Seagrave, personaggio fondamentale di un’epoca leggendaria.