Dire che i Christian Death non hanno bisogno di presentazioni penso sia superfluo, stiamo pur sempre parlando di un gruppo che ha fatto la storia del dark rock e del gothic… un po’ meno scontato è dire che con questo “American inquisition” la band non ha certo dato il meglio di sé stessa… Sono purtroppo lontani gli anni d’oro del gruppo e ascoltando il cd ci si rende conto che Valor e Maitri ormai arrancano un po’ dal punto di vista compositivo. E dico questo non con l’ottusità del vecchio fan ancorato al passato della band e pensando nostalgicamente ai tempi di Rozz Williams… semplicemente, l’impressione che si ha è quella di una specie di calderone in cui sono state fatte confluire le influenze più disparate, dalle sonorità più prettamente gothic a quelle più electro-punk, il tutto però senza un vero e proprio filo logico, e a diversi anni dall’ultima e deludente release “Born again anti-Christian” forse era lecito aspettarsi qualcosina in più…
Menzione a parte, invece, per l’aspetto concettuale… i nostri hanno deciso di schierarsi apertamente contro Bush e la sua politica guerrafondaia, e quindi sia i testi che l’esplicita copertina sono assolutamente antiamericani e fondamentalisti. Scelta sincera o mossa commerciale? Scelta dettata da veri principi o semplice provocazione? Non sta a noi giudicare, anche se obiettivamente si tratta di temi che sicuramente non appartengono storicamente alla band, da sempre attiva su altri fronti di denuncia (religione, sessualità, etc…).
Ma analizziamo un po’ l’aspetto musicale… il cd parte con “Water into wine”, ed è subito classico rock gotico. La doppia voce Valor/Maitri funziona bene, e anche le incursioni electro-gothic non sempre sono da buttare via. Però in alcuni frangenti risultano davvero poco incisive, se non addirittura fuori luogo, come nel caso di “Victim X”, forse l’episodio peggiore dell’intero lavoro. Diciamo che dopo esserne stati tra gli ispiratori, alla band non giova di certo scimmiottare gruppi come Nine Inch Nails o Marylin Manson…
In generale è la noia l’aspetto più negativo di questo cd… non è raro, infatti, che giunti a metà brano venga voglia di skippare per sentire se le cose miglioreranno con il successivo, nonostante qua e là salti fuori qualche bel riff o qualche bel duetto vocale che ci fa ricordare che comunque abbiamo a che fare con un gruppo che ha fatto la storia del genere. Se questo album fosse stato scritto da una band diversa probabilmente avrebbe superato la sufficienza senza problemi, ma essendo uscito dalla penna di artisti come Valor e Maitri bisogna essere un po’ più critici, se non altro per rispetto verso il nome del gruppo. Incursioni post punk presenti in brani come “Worship along the nile” (affidata alla sola voce di Maitri) o “Narcissus metamorphosis of” risollevano le sorti del cd, così come quelle del White Duke, che prepotentemente spuntano qua e là, ed è forse verso questi lidi che la band dovrebbe dirigere i propri sforzi, perché risultano essere quelli a loro più consoni.
Delle altre composizioni, quelle più prettamente gothic, mi sento di premiare la capacità di riuscire a trovare, in un ambito oscuro quale è il loro, comunque una melodia accattivante, un ritornello che ti si stampa nel cervello, però non è abbastanza secondo me.
Dopo il passo falso di “Born again anti-Christian” la band ha dimostrato di voler recuperare e ha provato a tirar fuori un disco degno della sua fama. Il problema è che questi buoni propositi sono stati mantenuti solo a metà, perché “American inquisition” è un disco che va a fasi alterne e che lascia un po’ di amaro in bocca per quello che avrebbe potuto essere. Premiamo le intenzioni, un po’ meno i risultati…
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