Divenuto famoso dapprima come bassista di Alice Cooper,
Kip Winger ha, nel corso degli anni, maturato una sua personale visione della musica, che ha espresso prima con i
Winger, poi con il monicker personale. Circondato da uno stuolo di musicisti di primissimo ordine (e qui mi preme ricordare gente del calibro di Reb Beach, Rod Morgenstein, Paul Taylor, e la lista potrebbe continuare ancora), il buon Kip ha sempre cercato diappropriarsi di un genere che discende palesemente dall'AOR, ma che risente spesso di influenze più ricercate, create spesso con l'ausilio di strumenti elettronici, e dove il lavoro chitarristico si presta volentieri a lasciare il ruolo di protagonista alla 'forma canzone'. La voce di Kip, peraltro, è un perfetto e riuscito mix tra il classico singer hard rock ed un crooner moderno, dolce e suadente, pur non nascondendo la sua vena più energica.
Eccoci, quindi, a questo nuovo capitolo della 'vita' musicale di Kip Winger:
"From the Moon to the Sun" è un bel disco, nel quale prendono posto 12 tracce (più l'immancabile bonus track, ce n'è davvero sempre così bisogno??), per più di un'ora di buona musica. Le songs, questa volta abbandonano spesso e volentieri il territorio propriamente rock, preferendo suggestioni pianistiche, lasciando che i synth ricamino gli arabeschi più colorati, permettendo all'espressività delle songs di sovrastare l'impatto sonoro, spostando le coordinate verso un sound mellifluo, ricercato eppure, a volte, un pò troppo sgonfio, ridondante, autocelebrativo nella sua voglia di 'apparire', più che 'essere'.
Eccolo, il vero difetto di questo disco: le canzoni, pur belle e godibili, si lasciano gustare con una certa riluttanza, necessitando di più ascolti, e ciononostante spingendo l'ascoltatore verso un
aut aut, dove il vero fruire dei brani dipende dalla disponibilità ad accettare una struttura-canzone spesso rarefatta e poco tangibile.
Molti, nonostante tutto, i pezzi godibili:
"Every Story Told", intrisa di suggestioni arabeggianti, è una perfetta opener, ricamata com'è di chitarre acustiche;
"Nothing" è forse il momento più muscoloso dell'album, con un refrain da applausi;
"Where will you go" è una ballad pianistica, che in qualche suo accento mi riporta alla mente i Beatles di "A day in the life".
E' andando avanti nel disco, però, che vengono piazzate le songs meno convincenti, costruendo un effetto di parabola discendente che poco giova alla godibilità dello stesso.
Insomma, questo FTMTTS sembra perdersi in corsa, come un cavallo di razza a cui manchi, per vecchiaia o poco allenamento, quello sprint finale che ti può far vincere di misura.
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