Gli Addiction Crew (già Addiction) non hanno bisogno di presentazione, rappresentano una fetta rilevante della storia della musica pe(n)sante italiana, il cui leader, Alex Guadagnoli, è uno dei primi movers della nascente scena crossover/nu metal italiana, uno che la storia l’ha fatta, sin dal lontano 1996, quando eravamo ancora in tre o quattro a comprendere l’innovatività e la portata dirompente di certe sonorità “Made in California”, che avrebbero sconvolto poi il mondo intero e avrebbero ridefinito il senso della parola metal.
Se queste credenziali valgono qualcosa, e non sono solo riempitivi per una info sheet qualsiasi, lo comprendiamo nell’esatto momento in cui premiamo il tasto play del lettore, per immergerci nel nuovo disco degli Addiction Crew, “Lethal”.
Provare a descrivere il loro sound sarebbe possibile, usando termini essenziali quali potenza, melodia, omogeneità, varietà, feeling, groove, e chissà quante altre ne potrei trovare, ma nessuna di queste potrà mai descrivere il flusso emozionale, l’alchimia magica ed irripetibile del vortice in cui si viene risucchiati dalla prima fino all’ultima traccia. Non una nota fuori posto, non un pezzo buttato a caso, non un riff sprecato, la durata giusta per ogni singola canzone, produzione perfetta, abile ad esaltare i momenti melodici senza scalfire la potenza delle chitarre, le quali tornano a scavare solchi come si usava alla maniera di fine anni ’90 inizio anni 2000.
Songwriting eccelso, maturo, senza sbavature, con una cantante donna, tale Marta Innocenti, assolutamente superba, emozionante, ispirata. Una band che non si scorda da dove viene e cita intelligentemente il proprio passato, pur avendolo stravolto e riammodernato, “Shove” nei suoi primissimi secondi sembra “A.D.I.D.A.S.” (se non sapete di chi ha scritto questo capolavoro avete sbagliato a cliccare), “To The Core” si ricorda che il ritmo del rap è una componente fondamentale della contaminazione, “Target” è l’electro metal che gli Orgy non sono mai riusciti a fare, anche citando i New Order, “Surrounded” è il pezzo che gli One Minute Silence avrebbero potuto scrivere se fossero andati a lezione dai Limp Bizkit di “Significant Other”, “Hangin’ In The Air” è la ballad emo che nessuna band dai capelli fucsia potrà mai nemmeno sognarsi di scrivere, perché completamente a digiuno di r’n’b.
La contaminazione totale, il disco perfetto, l’acme di oltre una decade di ricerca sonora e sperimentazione, il capolavoro irripetibile, dopo il quale si può solo smettere e appendere gli strumenti al chiodo.
Può darsi che domattina mi svegli e mi renda conto di aver sognato tutto questo. Se fosse così lasciatemi sognare.