Per certi versi “spiazzante”.
Così, dopo aver letto la biografia della band, ho trovato “
Restless Hearts” demo d’esordio di questa thrash metal band catanese.
Valentino Valenti (voce) e
Matteo Marano (chitarra, programmazione e arrangiamenti) iniziano la loro collaborazione nel 2004 quando, con alcuni amici appassionati di musica, fondano i
Mechanix, cover band di chiara ispirazione Megadeth.
Dopo un’intensa quanto breve attività live la band si scioglie per divergenze di obiettivi e motivazioni personali, ed è comunque in questa breve esperienza che si rinsalda il sodalizio tra i due che decidono di fondare i
Jemineye.
Non ha avuto un parto facile questo demo che tra problemi legati a studio, lavoro e mancate collaborazioni, ha trovato la luce grazie proprio alla ferma convinzione di Matteo nel voler terminare il progetto.
Dicevo all’inizio che questo lavoro è per certi versi spiazzante perché da una cover band dei
Megadeth ti aspetti di sentire le linea guida musicali proprie della band americana. Quello che invece non ti aspetti è una voce ed una melodia tipica di quell’altro fenomeno americano che risponde all’altisonante nome dei
Metallica.
Spiazzante anche per quanto riguarda l’uso della strumentazione, come ad esempio la batteria sostituita da una drum machine con risultati sonori persino sorprendenti fatta eccezione per il suono “freddo” dei piatti e per la troppa regolarità dei colpi capaci di far rimpiangere il “tocco” dell’artista.
Bella la voce di Valentino: una buona timbrica che dà il meglio nello screaming vocals - su tutti “
Bite your pain” - ma che ha sicuramente margini di miglioramento nel dialogo non cercando sempre l’urlato.
Ricco di spunti interessanti, stupisce la varietà dei pezzi, mai ripetitivi e realizzati con un sound incisivo e profondo, energiche le ritmiche ed anche gli assoli che, pur contenuti, non risultano mai troppo azzardati o sopra le righe.
In conclusione “Restless Hearts” si può sicuramente definire un buon lavoro, piacevole nell’ascolto con brani ben congeniati e sapientemente eseguiti dove, una piccola nota personale riguarda l’arrangiamento dei brani. In particolare “
Lust for death” e “
Impossible reality”: un pizzico di cattiveria in più nell’utilizzo di ritmiche più incisive ed una minore presenza di tastiera valorizzerebbe, a mio parere, maggiormente i pezzi. Ciò nonostante la band riesce a trasmettere quel tocco personale e talvolta originale - vedi “
A way for tomorrow” - ricorrendo a ritmi intelligenti che potranno essere la base nei futuri progetti.
Attendiamo il prossimo lavoro con la speranza di leggere tra gli artisti anche quegli strumentisti che oggi suonano sotto le mentite spoglie di un computer e che torneranno sicuramente molto utili in una ulteriore attività live.
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